Mons. Oscar Romero e il “miracolo” del caffè

Negli anni ’60 del secolo scorso, la caffeicultura mondiale conobbe una sovrapproduzione che determinò il crollo del prezzo del caffè. L’organizzazione internazionale del caffè (OIC) di Londra per mantener il prezzo, fu costretta a stabilire una quota massima di produzione per paese. La Repubblica di El Salvador, come altri paesi (Guatemala ecc.) richiese alla FAO un supporto per non superare la quota. Prese quindi via il Programma di diversificazione agricola nelle imprese agricole caffeicole con caratteristiche di marginalità economica.

All’inizio del 1968 la FAO mi selezionò quale esperto in economia agricola e sviluppo per tale progetto con sede a Santa Tecla presso l’Istituto Salvadoregno di Ricerca sul Caffé (ISIC). Sin dall’inizio mi sentii in imbarazzo per il fatto che pur essendo il più giovane tra gli esperti FAO ero investito della maggiore delle responsabilità. Ricordo tutti i miei colleghi impegnati in tale difficile compito: Maurice de Caterinet, capo missione , l ’olandese Pedro Arens  per l’agroforesteria, il brasiliano Hector Montenegro per la frutticultura e l’orticultura, il neozelandese Gerald Day per la zootecnia e l’israeliano Nath Ruth per la commercializzazione; ricordo altresì Gustavo Denis, Direttore Generale dell’ISIC, e co-direttore del Progetto PNUD/FAO, poi Roberto Figueroa, agroforestale del Salvador, Ricardo Barba, ortofrutticultore, Orellana per l’agropastoralismo e Yulius Ramos Chorros, mia controparte salvadoregna.

Il governo di El Salvador premeva per un rapido nostro impegno. Si voleva procedere immediatamente alla raccolta dei dati; feci notare che questa poteva avvenire solamente dopo un attento sopraluogo. La mia formazione alla Scuola Normale Superiore per le Scienze Applicate, oggi Sant’Anna, mi imponeva di  non applicare il corrente metodo scientifico usato ovunque e cioè di quattro fasi, (raccolta dei dati, formulazione dell’ipotesi interpretativa dei dati raccolti, deduzione logica, e infine la quarta fase di verifica sperimentale) A Pisa infatti, dove frequentavo la decana delle Facoltà di Scienze Agrarie e Forestali Italiane, lo scienziato Prof. Enrico Avanzi, Rettore Magnifico dell’Università e Professore di Agronomia ed il Professor Orfeo Turno Rotigni, discepolo del famoso scienziato del suolo Pratolongo, ci ricordavano che le quattro fasi del metodo galileiano, potevano condurre in errore come aveva precisato lo stesso Galileo, se non fossero state precedute  da quella che era chiamata da Galileo la indispensabile prefase, cioè l’umile osservazione della realtà (niente identificazione dei dati da raccogliere dalla mente dei ricercatori) quindi, con Chorro in tutto il ’68 eseguimmo sopraluoghi in sei gruppi di imprese “cafetaleras”, che risultavano così suddivise: 32.800 piccole imprese di pochi ettari, tutte imprese familiari; le imprese medio-piccole, qualche migliaio, le imprese medie, le grandi imprese ed infine le grandissime.

Lo studio per campione ci fece innanzi tutto osservare che le piccole e medio-piccole imprese erano basate esclusivamente sul lavoro e la piantagione di caffè (cafetal), senza l’uso di  concimi e pesticidi; ci colpi l’aria pura e profumata propria del “cafetal” e l’intensa  vita biologica (uccelli, ecc….),.. idem in molte medie imprese, mentre nelle grandi e grandissime ci colpì  l’assenza di fauna e in alcuni periodi dell’anno la puzza di prodotti chimici che ci obbligava fuggire con gli occhi che bruciavano. Cominciammo a fare le analisi economiche (costi di produzione ecc..); era evidente e si confermava sempre più in noi l’idea che la sovrapproduzione mondiale del caffè fosse dovuta soprattutto al progressivo aumentato impiego dei prodotti chimici nella coltura del caffè. Ricordo che alla prima riunione generale del progetto, feci rilevare alle autorità salvadoregne che secondo me non c’era alcun bisogno di promuovere l’eradicazione della caffeicultura nelle imprese cosiddette marginali, per ridurre la quota di caffè prodotto da El Salvador, ma bastava convincere le grandi imprese caffeicole a diminuire l’uso della chimica per ridurre la produzione annua. Inoltre feci rilevare che le imprese familiari non erano affatto marginali, poiché rappresentavano 32.800 famiglie salvadoregne e la migliore qualità di caffè, non reso tossico dalla chimica.

Naturalmente ciò provocò un grande imbarazzo in quanto di fatto comportava il capovolgi-mento del progetto PNUD/FAO che avrebbe dovuto diventare un programma di diversifica-zione colturale con riduzione delle quote di caffè delle grandi imprese, soluzione invisa al Ministro dell’Agricoltura dell’epoca. Ricordo che trovai più comprensione a Casa Presidencial (Presidente Fides Sanchez Hernandez) e a CONAPLAN (Ing. Hernan Tenorio) e presso il suo consigliere agronomico Federico Herrera, costaricense, come anche dallo Staff dell’ISIC al completo, che al  Ministero dell’Agricoltura.

Mentre mi accingevo a scrivere il rapporto, pensai bene di cercare un sostegno presso varie istituzioni, in primo luogo la chiesa salvadoregna. La mia prima visita fu dal Nunzio Apostolico, allora Mons. Prigione, un perfetto diplomatico, da cui non traspariva nulla di un discepolo di Cristo; mi consigliò di attenermi  fedelmente al documento di progetto e alle decisioni del governo. Nei miei sopraluoghi ebbi la fortuna di incontrare il Vescovo di Santa Ana che, messo al corrente del mio imbarazzo, mi consigliò di incontrare una persona eccezionale, Mons. Oscar Romero, allora Segretario della Commissione Episcopale di El Salvador.

Mi incontrai più volte con lui, ma fin dal primo momento mi trasmise una forte carica, mi incoraggiò e mi disse che la mia preoccupazione poteva trovar sostegno nella sua decisione di promuovere una riflessione sull’enciclica “Populorum progressio” di Papa Paolo VI, a partire dal primo gennaio ’69, e durante tutte le domeniche e in tutte le chiese di El Salvador; forse cosi mi avrebbe potuto aiutare. Ricordo che la prima volta che lo incontrai mi lasciò parlare per un’ora e mezza e mi disse che conosceva perfettamente la realtà della caffeicoltura del Salvador perché anche la sua famiglia coltivava il caffè.

Mons. Romero non era timido, ma determinato e assorto spesso in riflessione, quindi di poche parole, ma le sue parole mi colpirono profondamente. Ricordo di avergli detto che  nel Salvador avevo l’impressione di essermi trovato in un mondo ed in una realtà antecedente la Dichiarazione universale dei Diritti dell’ Uomo (1789); mi disse sempli-cemente che quella dichiarazione era gia contenuta nei vangeli, come pure quel motto di “liberté, égalité, fraternité”, sintesi del messaggio evangelico.

Naturalmente terminai il mio rapporto confortato dalle parole di Mons. Romero e agli inizi del 1970 lo consegnai al governo del Salvador e alla FAO; devo ricordare che non ci fu alcuna eradicazione del caffè, anche se il progetto non venne reimpostato. Credo che in realtà ci fu una riduzione della quota di produzione annuale, come risultato naturale (a mio giudizio) del fatto che i grandi “cafetaleros” ridussero l’uso della chimica, e questo (ne sono convinto) perché le madri e mogli dei salvadoregni – sensibilizzate dalla “Populorum progressio” – riuscirono a convincere i lori uomini a ridursi le quote. Per me questo fu il primo miracolo di Oscar Romero.

In tutti questi anni, come esperto FAO, non ho mai ceduto alla pigrizia e alla burocrazia; anche la mia lettera aperta al Segretario Generale delle Nazioni Unite, la devo a questa voce della coscienza che per me è stato Mons. Romero. Non ho mai voluto portare testimonianza nelle varie Commissioni per il semplice motivo che ho sempre creduto che i santi sono tali fin da quando intraprendono la via della santificazione, e nel caso suo volevo vedere quando sarebbe stato riconosciuto come santo, cosa io riconobbi fin dal primo contatto.  Secondo me fu fermato nel suo percorso terreno solo perché era diventato la voce della coscienza dei salvadoregni ed alcuni di essi non sopportavano più quella voce. Costoro si sono illusi di fermarlo ignorando che la morte terrena non esiste se non per il corpo e che la persona, dopo questo passaggio, brilla nella potenza dello spirito ancora più forte.

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Autore : Ugo Fraddosio

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