Stato globale della sicurezza alimentare e della nutrizione
Come ogni anno, la FAO, in collaborazione con le altre agenzie delle Nazioni Unite IFAD, UNICEF, WFP e WHO, ha recentemente pubblicato il rapporto annuale sullo stato globale della sicurezza alimentare e della nutrizione (State of Food Security and Nutrition in the World 2025). La prima considerazione che scaturisce dalla lettura del rapporto è che ancora nel 2024 circa 673 milioni di persone soffre la fame, ossia una persona su 12 non può contare su di una alimentazione sufficiente a condure una vita sana e attiva. Conflitti, eventi climatici, inflazione dei prezzi dei prodotti alimentari, instabilità geopolitica a livello globale contribuiscono ad alimentare il fenomeno.
Non si può negare che è stato conseguito qualche lieve miglioramento nei confronti degli anni passati, ma la situazione continua ad essere inaccettabile: se si continua con questo ritmo di riduzione della popolazione cronicamente denutrita, sembra assai improbabile che si possa raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (OSS) 2.1 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, vale a dire l’eradicazione totale della fame. E tantomeno l’obiettivo 2.2 “Eliminare tutte le forme di malnutrizione e soddisfare le esigenze nutrizionali di ragazze adolescenti, in gravidanza, in allattamento e delle persone anziane”. Le enormi ricadute sociali ed economiche della perdurante insicurezza alimentare sollecitano quindi un deciso cambio di passo nelle politiche nazionali ed internazionali di contrasto della denutrizione.
La seconda considerazione riguarda la distribuzione geografica di questo fenomeno. Come al solito, le medie mondiali nascondono forti squilibri tra le varie aree del pianeta. Se qualche progresso verso l’eradicazione della fame è stato infatti registrato in America meridionale ed in Asia meridionale ed orientale, in Africa la prevalenza della denutrizione cronica raggiunge il 20%, ovvero una persona su 5, in Africa centrale addirittura il 30%, quasi una persona su 3. È quindi su queste aree che si deve concentrare l’iniziativa internazionale.
Certamente le misure che possono, che debbono essere adottate dal sistema intergovernativo e dai governi dei singoli Paesi sono molteplici, complesse e integrate fra loro. Non si può infatti prescindere dalla ricerca di risoluzione dei molti conflitti locali, non si può ottenere risultati significativi se non mediante strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, mentre è essenziale il miglioramento del quadro macroeconomico generale e dei Paesi a più alta insicurezza alimentare, come pure una maggiore trasparenza dei mercati di derrate alimentari per contrastare la volatilità dei prezzi e, in conseguenza, l’aumento dell’inflazione al livello dei consumatori. Le politiche di protezione sociale delle classi svantaggiate, opportunamente integrate alle altre misure, hanno dato significativi risultati in alcune aree del mondo, e potranno in futuro avere impatti considerevoli anche altrove.
Il rapporto suggerisce anche il perseguimento di un rapporto equilibrato tra produzione locale, esportazioni ed importazioni di prodotti agroalimentari. Non si abbracciano quindi posizioni pregiudizialmente contrarie a import ed export di prodotti agricoli, ma si riconosce che il commercio internazionale, sia di derrate alimentari, che di prodotti ad alto valore aggiunto, può contribuire a aumentare la sicurezza alimentare, migliorare il quadro macroeconomico e contribuire al reddito di piccoli e grandi agricoltori. Infine si indica l’obiettivo del miglioramento delle capacità produttive, sia per garantire che la produzione agricola sia resiliente agli shock climatici, che per adeguare la disponibilità di alimenti alla crescita demografica e si riconosce come necessaria l’integrazione di tecnologia, innovazione e conoscenze scientifiche nelle pratiche agricole. Due argomenti questi ultimi – quello relativo al commercio internazionale e quello riguardante scienza e tecnologia – che possono sembrare banali, ma che non sono sempre scontati.

