La ruralità urbana e peri-urbana come motore di sviluppo economico compatibile
Fino a pochi decenni fa la coltivazione era legata alla produzione alimentare. Oggi c’è chi coltiva un pezzo di terra per godere della sua bellezza, per conservarne il valore, per ottenere benessere, per manifestare uno status, per offrire ospitalità…. In tutti questi casi si può parlare di coltivazione fatta per ottenere o produrre servizi.
La frammentazione delle proprietà aumenta dalla montagna alla città, ma dall’uno all’altro estremo la coltivazione persiste. Gli orti scendono dalle montagne e raggiungono le terrazze e le pareti degli edifici urbani.
Aumentano i costi unitari della coltivazione e cresce, in chi, comunque coltiva, la ricerca di benessere. Peraltro, i sistemi metropolitani sono caratterizzati da fattori di stress che stimolano la domanda dei servizi che la coltivazione può offrire. Inoltre, in città sono disponibili risorse economiche che possono defluire sull’attività di coltivazione. Gli obbiettivi immateriali permettono di valorizzare spazi che non sarebbero idonei alla produzione agricola primaria. Per quanto detto, è possibile parlare di “agricoltura terziaria, urbana e peri-urbana” come ambito totalmente diverso dal primario.
La fruizione di servizi emozionali può essere il fine del conduttore di una piccola azienda agricola, che, in compagnia di famiglia ed amici acquisisce benessere dal coltivare. Ovvero, l’offerta di servizi può essere un’attività d’impresa, come in una fattoria didattica, dove a fruirne sono bambini e soggetti correlati.
Comunque, sia il conduttore che l’imprenditore comprano sul mercato i beni strumentali, i servizi e le competenze necessari a mettere in atto l’attività. Sono, quindi, a loro volta, dei consumatori e determinano un imponente indotto sugli operatori del territorio. L’insieme di questi ultimi è il “vero” segmento d’impresa. Per esplicitare meglio la natura di questo mondo vediamone le componenti principali.
AGRITURISMO – MULTIFUNZIONALITA’:
Ospitalità e Ristorazione.
Multifunzionalità culturale: Alle attività sopra citate se ne vanno aggiungendo molte altre, quali eco-musei, musica in ambito rurale, laboratori artigianali….
AGRICOLTURA SOCIALE:
Fattorie didattiche: La consapevolezza delle potenzialità emozionali della campagna ha dato luogo all’offerta di servizi di animazione in fattoria.
Fattorie sociali: La necessità di valorizzare le energie di soggetti deboli sta cercando risposte nel mondo rurale.
Agricoltura terapeutica: La ricerca scientifica ha dimostrato che avere a che fare con piante ed animali fa bene alla salute fisica e mentale.
Ospitalità rurale per fasce deboli: Si vanno configurando esperienze pilota di ospitalità di soggetti anziani in strutture rurali.
AGRICOLTURA HOBBISTICA:
Piccola e media agricoltura: Il territorio peri-urbano è interessato da piccole aziende, prime e seconde case in campagna, con orti, frutteti, vigneti, oliveti…… I costi di queste attività agricole, se conteggiati, risultano, in genere, più elevati del valore commerciale delle produzioni realizzate.
Ma, che sia per conservare i beni stessi, o per il piacere di gestirli, rispondendo ad un mandato culturale profondo, in molti di questi ambiti si continua a coltivare. Si può ipotizzare che chi lo fa abbia, come obbiettivo la fruizione di un beneficio emotivo, quindi di un servizio.
Orti urbani: Molte città del nord hanno organizzato, da decenni, il fenomeno, predisponendo aree pubbliche e definendone le regole d’uso. Al centro – sud la realtà degli orti urbani su terreni pubblici è ancora alla ricerca di un assetto. Gl’imprenditori privati e del privato sociale, si stanno affacciando a questo settore, con la concessione più o meno onerosa di parcelle da coltivare. Il loro numero è in crescita.
Collateralmente a questi ambiti ne esistono altri che varrebbe la pena indagare, come ad esempio il mondo dell’apicoltura hobbistica o quello di chi acquista il mosto per fare il vino…… Analogamente, il fine è il piacere di svolgere un’attività e di produrre qualcosa di proprio.
Tutti i contesti citati sono economicamente e culturalmente diversi dall’agricoltura primaria.
Sottolineando: chi usa il territorio in questo modo lo fa per ottenere benefici immateriali.
Eppure, queste attività hanno grande rilevanza economica, per tutti i soggetti partecipanti:
- Chi fruisce di servizi didattici, terapeutici, assistenziali ottiene benessere a costi competitivi.
- Chi coltiva per passione ottiene, comunque, prodotti, ma anche, socializzazione, identità, benessere d’insieme… ovvero servizi che ben difficilmente potrebbe acquistare….
- Chi organizza l’offerta di queste opportunità in agriturismi e fattorie socio – didattiche…, svolge attività d’impresa, profit o non, e determina ricadute occupazionali e di spesa.
- Il mercato, a monte, vende ad operatori e coltivatori beni e servizi, fruisce, cioè dei consumi indotti. Gode, quindi, della “domanda di ruralità”.
- Gli Enti hanno benefici fiscali e risparmi sulla gestione del territorio e sui servizi socio-sanitari.
- Le comunità locali ottengono integrazione sociale e benessere.
Ma, quanto valgono questi servizi?
Quanto vale il consolidamento del nucleo familiare e della propria identità od il passaggio della cultura materiale…, ottenuti dal vivere la casa in campagna o l’orto urbano con il nonno?
Quanto dovrebbe spendere il conduttore di una piccola fattoria o di un orto urbano per ottenere lo stesso risultato con altri mezzi?
E quanto dovrebbero spendere gli Enti Locali per avere i servizi equivalenti di integrazione sociale, di promozione dell’assunzione di responsabilità per la protezione del territorio e del paesaggio?
Domande rilevanti, ma, per ora, senza risposta.
L’importanza economica del settore si rende, però, evidente se si prendono in esame alcuni elementi quantitativi:
Secondo l’Annuario dell’Agricoltura Italiana 2015, nel 2014, la superficie media delle aziende agricole in Italia era di Ha 8,4 ([1]).
Per molte colture, quali ad esempio oliveto e vigneto, questa superficie non permette di raggiungere utili, eppure molte sono coltivate. Nel 2014, le aziende con superficie fino a 2 Ha erano circa il 50 % ([2]).
Secondo F. Sotte, nel 2006, le aziende agricole in Italia erano 2,5 milioni circa, ma di queste il 47 % aveva superficie inferiore ai 2 Ha. Le aziende – impresa, in Italia, erano, di fatto, dalle 200.000 alle 500.000, le altre, tra 1.000.000 e 2.000.000, erano tutte delle “non imprese”.
In base al 6’ Censimento dell’agricoltura Italiana, citato nell’Annuario dell’agricoltura italiana del 2014, con i dati del 2013, il n. di aziende dedicate all’autoconsumo era di 1.300.000, circa, ovvero l’81% del totale [3].
Quante di queste realtà si debbono leggere come imprese di produzione e quante come ambiti di “consumo di ruralità”?
In ognuno di questi contesti, infatti, si spende. Si comprano attrezzi e prodotti, si chiamano contoterzisti, si pagano cantine, frantoi ed imprese per conservare la casa rurale ed il paesaggio. Si chiamano consulenti… Inoltre, si fa la spesa per godere della ruralità con amici e parenti….
In altre parole si crea un flusso di denaro che alimenta le economie locali, dalla florovivaistica, all’edilizia, dalla meccanica, alle industrie agrarie, ai servizi collegati…
Peraltro quest’insieme d’imprese, il vero protagonista del settore, è molto articolato sul territorio e costituito da piccole realtà. E’, quindi un settore ad alta resilienza. Dovendo rispondere ad una domanda locale non sarebbe minacciato dalla globalizzazione dell’economia.
Comunque, l’offerta di servizi non è assolutamente in conflitto con l’agricoltura primaria extraurbana, anzi, può essere sinergica.
Un caso studio può dare l’idea della spesa annua di un consumatore di ruralità:
Ex podere mezzadrile in area peri-urbana, fiorentina. Casa rurale, 5 ha di oliveto. Il costo annuo medio di manutenzione del bene viene stimato, nel 2015 in E 10.000 / anno. A questi costi si devono aggiungere quelli, di volta in volta sostenuti per fruire del luogo.
Ipotizzando la spesa minima di E 5.000 / anno per 1.000.000 di proprietari consumatori di ruralità analoghi a quello descritto, avremmo un flusso di spesa minimo di E 5.000.000.000, corrispondente al fatturato dell’insieme dei soggetti d’impresa che ha reso possibili le attività.
Analoga valutazione può essere fatta per l’universo degli orti urbani. Molte città ne sono dotate. Ad es., secondo V. Cattivelli, il Comune di Milano, nel 2014, aveva 87 aree con parcelle di orti urbani ([4]).
A Roma, nel 2014, secondo l’Assessore Estella Marino, erano presenti 150 aree con parcelle ad orti urbani ([5]).
I dati, anche se confusi ed incompleti, evidenziano un fenomeno in crescita vorticosa.
La forma giuridica che prevale per la gestione delle aree con orti è l’“Associazione”. Infatti, gran parte degli orti urbani nasce su terreni di proprietà pubblica che sono concessi a questo tipo di soggetti giuridici. Esistono, in aree private, casi di parcelle date in affitto con contratto di breve durata, secondo la prevista procedura dei patti in deroga alla norma degli affitti agrari.
In ogni caso, il conduttore, associazione o privato, ha un’attività economica: la concessione delle parcelle, remunerate con una quota associativa, come per i campi da gioco nei clubs sportivi, o con un canone d’affitto. L’offerta della ruralità può diventare impresa, sociale o meno.
Si può aver un’idea del fatturato di queste iniziative facendo un’ipotesi: Un Ha, con mq 5.000 a parcelle ed il resto a parco. Sono possibili 100 parcelle di 50 mq ciascuna.
Se vengono concesse ad un costo di 100 E / anno / parcella, il sistema determina un’entrata di base di E 10.000 / Ha / anno. Se la quota fosse di 300 E / anno l’entrata sarebbe di E 30.000 / Ha / anno.
A queste entrate si potrebbero aggiungere quelle di tutti i possibili servizi collaterali che il gestore, od i soggetti associati, potrebbero offrire, dall’assistenza tecnica, alla didattica, ad attività ricreative e culturali, alla vendita di prodotti…
Riportiamo, di seguito, alcuni casi reali:
- A) Associazione Circolo della Cellulosa, con terreno di proprietà pubblica “adottato”, ovvero in attesa di concessione regolare, a Roma: L’orto viene dato ad E 40 / anno più rimborsi per spese occasionali. Ma al socio viene chiesto anche un contributo in lavoro di manutenzione dell’area verde in cui il parco ad orti si trova, calcolabile in 5 giornate anno. La spesa di coltivazione media / orto è di E 50 / anno.
- B) Associazione Onlus Il Fiore del Deserto, a Roma, su terreno privato (ecclesiale): Per l’orto si paga un rimorso forfettario di E 350 / anno, per coprire costi di preparazione del terreno, acqua, forniture base, mano d’opera di servizio ed assistenza tecnica. Il costo anno di coltivazione viene stimato in E 300.
- C) Agricoltore a Bologna: dà in affitto orti di 50 – 200 mq ad un prezzo annuo di E 300-500.
In tutti i contesti elencati hanno luogo anche attività didattiche e ricreative.
La domanda potenziale da soddisfare è ancora molto vasta. E’ verosimile, quindi, che, nel tempo, anche l’offerta di orti vada a crescere, andando a configurare tutte le tipologie che il mercato può accogliere, dalle più sociali alle più commerciali, analogamente a quanto già oggi accade per altre attività, come sport e didattica. L’indotto di spesa e l’occupazione cresceranno in proporzione.
Quel che è certo è che anche coltivare un orto ha un costo.
Prendiamo, come campione, il caso reale di un coltivatore romano, presso la ONLUS, Il Fiore del Deserto.
Ha speso E 200 per l’attivazione e spende altri E 300 / anno per acquisti di beni e servizi per un orto di 50 mq. Con ciò “porta a casa” prodotti, ma anche compagnia, benessere, identità … ovvero servizi che difficilmente potrebbe comprare sul mercato. Nel suo bilancio complesso l’insieme di ortaggi e servizi è, quindi, assolutamente conveniente.
Se 300 E fosse il costo di coltivazione minimo di un orto e ci fossero 10 milioni di orticelli in Italia, la spesa annua assommerebbe ad E 3.000.000.000.
Collateralmente è possibile citare il caso del Progetto Europeo Sidig-Med, che, nel Comune di Roma, nel 2015, ha fatto costruire un “parco ad orti”, con 60 parcelle di 60 mq ognuna, con zone di riposo e strutture annesse. Sono stati spesi E 40.000.
In conclusione, si può sostenere che l’economia del territorio italiano è cambiata, con l’incremento dei consumatori di ruralità. Questi creano un rilevante flusso di spesa, custodiscono il territorio e contribuiscono a ridurre le spese pubbliche e private di assistenza. La domanda di ruralità può crescere molto e può diventare un fattore di sviluppo, portando nuove energie in un mondo con seri problemi di rinnovo. Può valorizzare realtà aziendali che per la produzione primaria sono fuori mercato. Può creare offerta di verde dove ora ci sono sterpaglie ed eventuale degrado.
In termini culturali, le opportunità descritte, permettendo una relazione diretta con l’ambiente possono contribuire alla conservazione della cultura materiale e della memoria della ruralità.
Per lo sviluppo di quanto detto è necessario cambiare paradigma mentale ed iniziare a dialogare con le vere figure imprenditoriali del settore, ovvero i soggetti a monte dell’attività ludico-culturale rurale, da chi offre lo spazio attrezzato a chi vende imput agronomici, attrezzature e servizi tecnici, a chi fa politiche del territorio ….
Accogliere questa logica porta alla necessità di nuova ricerca, nella pianificazione territoriale, come anche nella selezione delle specie coltivate, nelle metodologie di coltivazione, nell’organizzazione aziendale, nella normativa di riferimento…
Di particolare utilità potrebbe rivelarsi lo sviluppo di una contrattualistica innovativa che permetta a chi possiede terreni e desidera mantenerli, ma non è nelle condizioni di coltivare di farlo fare a soggetti terzi, senza perdere, però, il controllo giuridico del bene.
Si può, infine, sostenere che l’agricoltura urbana e peri-urbana, attualmente rilevante per i servizi realizzati, in un qualche domani di città ancor più vaste e dense e costi dei trasporti ancor più alti, potrebbe tornare ad essere un rilevante fattore di produzione alimentare. I servizi di oggi, conservando la ruralità nella città, potrebbero, quindi, prefigurare la sicurezza alimentare di domani. Il potenziale per una crescita corretta del fenomeno è, quindi, elevato, ma altrettanto elevate sono le esigenze di informazione, sensibilizzazione, organizzazione.
Sommario
La campagna si frammenta, ma la coltivazione persiste. La produzione cede il passo ai servizi socio – culturali, in agriturismi, fattorie didattiche, piccole aziende ed orti urbani. Per rispondere a questa “domanda di ruralità” si comprano beni e servizi. Chi li fornisce è il motore d’impresa del settore. La domanda di orti urbani sta portando verso l’impresa che offre parcelle da coltivare.
BIBLIOGRAFIA FONTI CITATE
AAVV, 2014, Annuario Dell’Agricoltura Italiana 2013, CREA, Roma, Volume LXVII.
AAVV, 2015, Annuario Dell’Agricoltura Italiana 2014, CREA, Roma, Volume LXVIII.
SITOGRAFIA FONTI CITATE:
ANSA Redazione, Ok da giunta a orti urbani, 150 a Roma, ANSAROMA NEWS,17 ottobre 2014.
Cattivelli V., 2014, L’esperienza degli orti urbani nel Comune di Milano, Agriregionieuropa, anno 10, n. 39, Dicembre 2014.
Progetto Sidig-Med, 2015, Progetto Pilota parco ad orti nel Parco dell’Aniene, documentazione di progetto, Roma.
Rinaldi A. Corriere di Bologna, Idea contro la crisi: gli orti in affitto, 10 aprile 2012.
Sotte F., 2006, Quante sono le imprese agricole in Italia? Agriregionieuropa, anno 2, N.5, Giugno 2006.
COMUNICAZIONI DIRETTE
Associazione Circolo della Cellulosa, 2016, comunicazioni della Presidenza, Roma.
Azienda Agricola “Vara”, Sesto Fiorentino, 2016, comunicazioni della proprietà.
Onlus, Il Fiore del Deserto, comunicazioni dei responsabili dell’Agro-Club, 2016.
[1] AAVV, 2015, Annuario Dell’Agricoltura Italiana 2014, CREA, Roma, Volume LXVIII, pg. 44.
[2] AAVV, 2015, Annuario Dell’Agricoltura Italiana 2014, CREA, Roma, Volume LXVIII, pg. 44.
[3] AAVV, 2014, Annuario Dell’Agricoltura Italiana 2013, CREA, Roma, Volume LXVII, pg. 44.
[4] V. Cattivelli, 2014, L’esperienza degli orti urbani nel Comune di Milano, Agriregioneuropa, anno 10, n. 39, Dicembre 2014.
[5] Redazione, Ok da giunta a orti urbani, 150 a Roma, ANSAROMA NEWS,17 ottobre 2014. ANSA.

