Il riconoscimento UNESCO alla Cucina Italiana riguarda tutta la filiera agroalimentare
Il riconoscimento recentemente conferito all’Italia dal comitato intergovernativo dell’UNESCO, che ha incluso la Cucina Italiana nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, è molto prestigioso e certamente sosterrà l’export agroalimentare italiano in tempi di dazi e di turbolenze geopolitiche. Da sottolineare che questo riconoscimento è stato conferito non solo all’aspetto della preparazione del cibo, ma all’intera cultura alimentare, includendo quindi anche gli aspetti culturali del consumo, dal soddisfacimento di aspettative sensoriali alla convivialità, dalla sostenibilità alla diversità.
Il traguardo raggiunto suggerisce delle considerazioni che questa nota intende condividere. In primo luogo, da Dottori in Scienze Agrarie e Forestali, preme ricordare che la prelibatezza dei cibi dipende soprattutto da quella delle materie prime impiegate per prepararli, senza niente togliere all’abilità di chi quelle materie prime trasforma in pietanze. In altre parole, la qualità degli alimenti si costruisce in campo, durante la coltivazione, e può essere opportunamente conservata e magari esaltata durante le fasi successive di preparazione alimentare. L’equazione buona qualità dei prodotti agricoli = [possibile] buona qualità dei prodotti alimentari finali non funziona però nella direzione opposta: non si può preparare buone pietanze partendo da prodotti agricoli scadenti. Il contributo alla cucina italiana di agricoltori e di tecnici che operano in agricoltura è quindi fondamentale e deve essere adeguatamente riconosciuto. Ovviamente, le condizioni ambientali in cui le coltivazioni vengono effettuate sono egualmente insostituibili: il felice connubio tra suolo, clima e altri fattori ambientali che si verifica nelle aree agricole italiane sono un prerequisito essenziale della qualità delle materie prime agricole utilizzati dalla cucina italiana.
La seconda considerazione riguarda la grande ricchezza di prodotti e di ricette che compongono il variegato mosaico della cucina italiana: diversità nei e tra gli agroecosistemi da cui provengono i prodotti agricoli di partenza, diversità tra pratiche agricole adottate dal settore primario, diversità di prodotti vegetali e animali prodotti e posti sul mercato, diversità di ricette e di tecniche di preparazione alimentare, diversità delle modalità di consumo. Diversità fra l’altro in continua evoluzione a causa delle continue modificazioni del gusto – e quindi della domanda di mercato -, anche per le ricorrenti contaminazioni provenienti da altre cucine nazionali, che costringono a costanti integrazioni tra tradizione ed innovazione.
L’ultima riflessione è relativa all’eccellenza del sistema agroalimentare italiano nella trasformazione di prodotti agricoli, anche se non prodotti in Italia; nella importazione cioè di materie prime, nella loro trasformazione industriale e nella riesportazione dei prodotti finali. Il caso più emblematico di questa attitudine è rappresentato dal caffè: pur non producendone nemmeno un chicco sul proprio territorio, l’Italia si posiziona come secondo esportatore mondiale, subito dopo il maggiore produttore globale, e cioè il Brasile. Il prestigio dell’espresso italiano ha permesso quindi di realizzare una lucrativa attività economica. Dove le condizioni pedoclimatiche nazionali lo permettono, dovremmo però evitare il rischio di accentuare eccessivamente il ruolo di trasformatori industriali di derrate alimentari di provenienza estera, senza valorizzare adeguatamente le produzioni interne. Rischio che sta correndo il settore della pasta: se la produzione nazionale di frumento duro non riuscirà a sostenere la competizione con le produzioni di oltre oceano, le nostre crescenti esportazioni dovranno basarsi in misura vieppiù consistente sulle importazioni di materia prima. L’innovazione tecnologica ed organizzativa dovrà operare in tale direzione.
Il riconoscimento UNESCO alla Cucina Italiana, il cui merito va riconosciuto anche agli agricoltori italiani, dovrebbe quindi essere utilizzato come leva di promozione della innovazione e di espansione di mercato delle intere filiere agroalimentari italiane.

