Il possibile impatto della guerra in Ucraina sulle quotazioni dei terreni agricoli italiani ed europei

Il possibile impatto della guerra in Ucraina sulle quotazioni dei terreni agricoli italiani ed europei

L’invasione russa dell’Ucraina sta creando turbolenze in tutti i mercati. Quali sono le ripercussioni in agricoltura?

Com’è noto Russia e Ucraina contribuiscono in modo importante alla produzione di cereali, di cui sono rispettivamente il primo e il terzo esportatore mondiale, rappresentando insieme quasi il 30% delle esportazioni globali di grano. Le aziende zootecniche e agroalimentari italiane dipendono in parte dalle importazioni dall’Ucraina e dalla Russia. L’industria agroalimentare italiana fa uso di grano ucraino non solo per prodotti destinati al mercato nazionale ma anche e soprattutto per prodotti lavorati ed esportati in tutto il mondo. Sul piano del fabbisogno interno, il nostro principale fornitore di grano duro è il Canada e di grano tenero sono i paesi della Comunità Europea (in particolare Ungheria e Romania): le importazioni dirette da Russia e Ucraina sono modeste.  

In Ucraina, grazie alla sua conformazione geografica e morfologica, alla fertilità del terreno e al clima, l’uso agricolo del suolo è assai elevato: da dati del 2018 solo l’11,07% è incolto, il 16,87% è coperto da foreste, il 13,21% da prati e ben il 58,84% è coltivato, nella quasi totalità arativo, per una produzione annua di cereali di circa 74 milioni di tonnellate (anno 2019). In Italia, sempre da dati del 2018, il 26,45% è incolto, il 31,81% è coperto da foreste, il 10,91% da prati, il 30,81% è coltivato, in prevalenza arativo, per una produzione annua di cereali di circa 16 milioni di tonnellate (anno 2020), sufficiente a soddisfare circa la metà del fabbisogno interno di grano duro e circa il 40% di grano tenero.

Gli effetti economici dell’invasione russa dell’Ucraina dipenderanno ovviamente dalla durata, dagli sviluppi e dalle sorti del conflitto, tutti al momento imprevedibili. Non vi sono informazioni sulla regolarità della mietitura del grano invernale piantato in Ucraina lo scorso autunno; si segnalano difficoltà nelle forniture di semi, fertilizzanti, pesticidi, erbicidi e carburante, che potrebbero ostacolare le prossime piantagioni, oltre ai danni direttamente imputabili al conflitto (incendi, distruzione di strutture di stoccaggio, inquinamento), da cui però sono state finora sostanzialmente risparmiate le zone ad ovest del paese. Stando a quanto riporta La Verità, l’Ucraina ha in coltivazione oggi solo 7 milioni di ettari contro i 15 consueti. Si sta inoltre assistendo all’interruzione del trasporto navale del grano dal porto di Odessa nel mar Nero: non è ben chiaro se ciò dipenda dai Russi a scopo di sabotaggio dell’economia ucraina o come ritorsione verso i paesi a loro ostili, oppure se dipenda dalle stesse autorità ucraine, che pare abbiano deciso di bloccare le esportazioni in via cautelativa, per garantire l’approvvigionamento alimentare prima di tutto al loro paese nella previsione di possibili carestie derivanti dalle difficoltà di condurre le ordinarie coltivazioni (analogo provvedimento è stato preso in Ungheria). La FAO e alcuni importanti studiosi (come il prof. Matin Qaim economista dei sistemi alimentari e direttore del centro di ricerca e sviluppo dell’Università di Bonn) prevedono una catastrofe umanitaria senza precedenti in caso di interruzione delle esportazioni ucraine e russe di grano e fertilizzanti. I segnali dunque non sono buoni e la situazione rimane di estrema incertezza.

Anche singoli episodi potrebbero avere conseguenze potenzialmente gravi. In uno scenario estremo, ma non irrealistico, si pensi all’eventuale distruzione, accidentale o premeditata, di qualcuno dei 15 reattori nucleari del paese, con fuoriuscita di materiale radioattivo e conseguente contaminazione di lungo periodo di vaste estensioni coltivate: questo determinerebbe, oltre a carenze alimentari, un riassetto delle destinazioni colturali dei terreni rurali nel resto del globo e gravi ripercussioni sui prezzi.

I prezzi del grano sono il nodo fondamentale della questione, perché il grano è diventato una formidabile arma di pressione geopolitica nelle mani di Mosca. Con il grano non si scherza: come osserva Carlo Cambi «se con il gas si possono trovare alternative, con il grano o c’è o non c’è, e per averlo bisogna aspettare un anno». È vero che noi importiamo percentuali modeste di cereali da Russia e Ucraina, ma ciò non significa che possiamo disinteressarci di quello che sta avvenendo, perché se l’Ucraina dovesse cessare la produzione e la Russia tenesse fede alla decisione di non vendere più il proprio grano ai paesi “ostili”, ciò comporterebbe una crisi di reperibilità del grano da parte dei paesi occidentali con conseguente scatenarsi di accaparramenti, egoismi e competizioni tra nazioni, speculazioni e innalzamento incontrollato dei prezzi che andrebbe ad incidere pesantemente anche sui costi delle importazioni da paesi terzi. In un solo mese – da febbraio a marzo – l’Istat ha registrato un aumento medio del pane del 5,8% e della pasta del 13%, il frumento è quotato oltre 426 euro a tonnellata (un anno fa era a 241), il grano duro a 519,50 euro (un anno fa era a 291): ma è solo l’inizio.

Vi è poi il grave problema dei fertilizzanti minerali azotati, i cui principali produttori mondiali sono Russia e Bielorussia, caratterizzati da prezzi già aumentati l’anno scorso a causa delle crescenti tensioni geopolitiche e che ora iniziano a subire blocchi da sanzioni o ritorsioni di carattere politico con conseguenti fortissimi rincari (anche del 170%) e difficoltà di approvvigionamento in un momento cruciale per l’annata agraria, segnato dall’avvio delle semine delle colture primaverili (mais, sorgo, soia etc.) e dalla concimazione dei cereali autunno-vernini (come il grano). Le forniture già scarseggiavano nell’autunno scorso e ora la Russia ha bloccato le esportazioni di nitrato d’ammonio, prodotto fondamentale per la concimazione del grano. In questo ambito l’Italia dipende fortemente dall’estero e in parte importante dalla Russia e dalla stessa Ucraina, la quale, con una quota del 15% sul totale, è stata nel 2021 il secondo fornitore di urea dell’Italia. Senza concimazione la resa quali-quantitativa cala drasticamente con conseguente diminuzione della produzione nazionale di grano e aumento della dipendenza dalle importazioni. In qualche misura i fertilizzanti minerali potrebbero essere sostituiti dai reflui zootecnici, ma l’allevamento è in grande sofferenza dovendo affrontare aumenti vertiginosi dei costi per l’alimentazione del bestiame (+40%) e dell’energia: si parla di abbattimenti del bestiame e ridimensionamento del comparto. Insomma si è scatenata la tempesta perfetta.

Anche l’aumento del costo del gasolio agricolo (e in Ucraina la sua stessa reperibilità) hanno evidenti pesanti ripercussioni nel settore primario. Per contro, una eventuale svalutazione del rublo renderebbe le esportazioni russe più competitive e potrebbe incentivarle, ma rimangono condizionate dalle decisioni politiche di Mosca, che con l’attuale leadership appaiono di irremovibile chiusura rispetto ai paesi occidentali. Alcuni equilibri si stanno già modificando: ricerche statunitensi stanno mettendo in luce aumenti di rendimenti del mais rispetto alla soia, aumenti dei livelli di copertura assicurativa dei raccolti, ed altre conseguenze. 

Venendo più specificamente al mercato immobiliare dei terreni agricoli, si stanno aprendo scenari particolari?

Non sono al momento percepibili conseguenze dirette o indirette della guerra in Ucraina sui valori dei terreni agricoli italiani, ed è prematura ogni previsione a tale riguardo, ma alcune ipotesi possono ugualmente essere fatte. L’aumento dei costi di produzione porta ad una pressione sui prezzi dei prodotti, ma non automaticamente ad un incremento di valore dei terreni: questo può verificarsi entro certi limiti come effetto della spinta inflazionistica e della rivalutazione dei prezzi dei prodotti al consumo, ma aumenti dei costi delle materie prime troppo bruschi o il calo di produttività per assenza di fertilizzanti rischiano di ridurre o azzerare i margini di redditività innescando una crisi economica del settore primario tale da deprimere o paralizzare anche il relativo mercato immobiliare. Non siamo ancora in questa situazione ma ne abbiamo imboccato la strada; quel che è certo è che si sta registrando una spinta inflazionistica fuori controllo.

Se le importazioni europee dalla Russia e dall’Ucraina dovessero venire stabilmente compromesse, si porrà a livello europeo il tema dell’adeguamento della Politica Agricola Comune e a livello nazionale la definizione di interventi urgenti di politica economica volti a incentivare investimenti nella salvaguardia e massimizzazione della produttività (ad esempio mediante la partecipazione pubblica all’industria dei fertilizzanti, la rivalutazione dell’ingegneria genetica, ecc.), nella riduzione degli sprechi, nel favorire alimenti efficienti e nel recupero di aree incolte invertendo il trend negativo di perdita progressiva di superfici coltivate (secondo Coldiretti si è ridotta di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati: per Coldiretti ci sarebbero comunque le condizioni per tornare a incrementare la produzione). Queste inevitabili politiche autarchiche si scontreranno con le logiche fino a qui perseguite nella transizione verso l’economia sostenibile incentrate sulla massima conservazione dell’ambiente naturale a discapito degli interventi antropici (“delegando” in realtà il lavoro sporco sull’ambiente ad altri paesi); non vi è dubbio che, sul piano delle priorità, l’imperativo categorico di garantire l’accessibilità alle risorse alimentari non potrà che prevalere sulla pur importante tutela ambientale, che però non dovrà essere sacrificata in modo miope sull’altare dell’emergenza, ma riposizionata in un nuovo equilibrio.

Strategie volte all’arduo conseguimento dell’autosufficienza alimentare della nazione o più realistiche strategie volte a ridurre la dipendenza dall’estero, implicano necessariamente il potenziamento dell’uso agricolo del suolo. 

Stiamo assistendo a una forte tensione sulle fonti di approvvigionamento energetico: com’è noto infatti per gas e petrolio dipendiamo in modo importante dalla Russia. Anche in questo caso, strategie volte a ridurre la dipendenza energetica dalla Russia mediante energie da fonti rinnovabili comportano consumo del suolo e alterazione del paesaggio per la realizzazione di parchi solari ed eolici. Ma anche qui “est modus in rebus“: occorrerà evitare che parchi solari ed eolici vadano impiantati sui terreni più fertili in contrasto con le esigenze di potenziamento della produzione agricola, ed esercitare buon senso nella localizzazione delle pale eoliche, dato che il paesaggio italiano è un patrimonio inestimabile, ad esempio valutando l’eolico off-shore. Così come occorrerà effettuare debite valutazioni rispetto i biocarburanti, che aiutando da un lato a svincolarsi dal petrolio sottraggono però dall’altro superfici agricole alla destinazione alimentare: autonomia alimentare e autonomia energetica sono in parziale competizione e si tratta di fare scelte ponderate e bilanciate per priorità, obiettivi e risultati.     

L’impressione è che se il conflitto in Ucraina dovesse auspicabilmente concludersi a breve e le relazioni economiche e commerciali con la Russia dovessero normalizzarsi o comunque non ulteriormente deteriorarsi, non vi sarà, almeno in Italia, quella situazione di grave emergenza che potrebbe costringere a complessi cambiamenti nelle politiche agricole ed energetiche. Ma se il conflitto dovesse protrarsi a lungo o comunque avere conseguenze strutturali sull’aumento dei prezzi del grano a livello globale e sulle forniture energetiche, ciò indurrà a incentivare il recupero di prati e incolti produttivi  (ed eventualmente di pascoli e superfici boschive) mediante la loro messa a coltura e di incolti sterili o terreni morfologicamente inidonei alla coltivazione per la destinazione a impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Al netto del rischio di una possibile crisi economica di cui si è parlato, queste politiche potrebbero avere un generale effetto rivalutativo del valore dei terreni, il quale valore rimane in ogni caso il risultato di molteplici fattori di carattere economico e sociale (es. redditività, carenza di manodopera) e di variabili imprevedibili (es. inflazione).  


Fonti: 

  • G. Schnitkey, C. Zulauf, N. Paulson, K. Swanson «Should the Russian-Ukraine Conflict Impact 2022 Acreage, Crop Insurance, and Commodity Title Decisions in the Midwest?» farmdoc daily (12):31, Department of Agricultural and Consumer Economics, University of Illinois at Urbana-Champaign, 8/03/2022. Collegamento.  
  • M. Tamman, D. Gauthier-Villars, S. Mcfarlane, S. El Safty «Ukraine’s farmers stalled, fueling fears of global food shortages», Reuters,  22/03/2022. Collegamento.
  • T. Schröder «Wie schnell kann die globale Landwirtschaft auf den Ukraine-Krieg reagieren?», Deutschlandfunk, 10/03/2022, Collegamento.
  • «Concimazioni a rischio: mancano i fertilizzanti minerali. Importazioni bloccate», Confagricoltura Emilia Romagna, 15/11/2021. Collegamento.
  • «Ucraina: la Russia blocca l’export di concimi, sos colture», Coldiretti, 5/3/2022. Collegamento.
  • «La guerra in Ucraina spinge ai massimi i prezzi dei fertilizzanti», La Stampa, 09/03/2022. Collegamento.
  • M. Indelicato «Stop alle forniture per i paesi ostili: Putin prepara la guerra del grano», il Giornale 2/04/2022. Collegamento.
  • C.Cambi «Dopo il gas, a rischio il grano», La Verità, 03/04/2022. Collegamento.

De Agostini Geografia – Scheda paese Ucraina. Collegamento. Scheda paese Italia. Collegamento

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Autore : Paolo Loro, Direttore della rivista Valoriagricoli.it

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