Il biologico…… non lo capisco
“Non credo nel bio”, una frase che ci sentiamo ripetere da anni e che, in verità, mortifica l’impegno profuso da parte degli addetti ai lavori. Occorre però un’onesta autocritica, un’autocritica da parte di chi lavora nel settore rispetto ad un consumo che si ostina nell’indifferenza, nell’incomprensione, nel qualunquismo e tutto ciò che sembra opporsi ad un modello produttivo che, a detta del legislatore, dovrebbe essere virtuoso, basato sulla sostenibilità vista nell’ottica della riduzione delle molecole inquinanti, biodiversità e benessere animale. Valori di alto profilo, condivisibili da tutti… ma però non accettati, se non addirittura avversati, da parte delle medesime categorie: produttori, tecnici, consumatori. Categorie che da una parte inneggiano all’obiettivo (“Sostenibilità”), ma avversano lo strumento (“Produzione biologica”). Da qui la riflessione condivisa tra due tecnici coinvolti nel sistema ma da prospettive diverse.
Il lavoro vuole tentare di interpretare questo fenomeno di scetticismo avverso uno standard produttivo che, in alcuni casi, diventa anche stile alimentare, comunque legati ad aspetti valoriali condivisibili: attenzione all’ambiente, ricerca di alimenti senza contaminanti chimici, certificazione, opportunità.
Partiamo da un discorso inverso. Ma gli altri prodotti ?
- E’ DOP, è una eccellenza del territorio;
- Qualità certificata da …..;
- Prodotto di qualità;
- Filiera corta….;
- Senza utilizzo di antibiotici;
- Free from #
Tanti claim, meno dubbi. Ma perché ? Un recente analisi di mercato (1) rappresenta che il 75% degli intervistati condivide l’affermazione che “E’ difficile capire se un prodotto è effettivamente biologico”. In questo caso, quello che stupisce, non è la scelta ma la parola “effettivamente” inserita nella domanda, predisponendo al fatto che un prodotto bio potrebbe non esserlo “effettivamente”. La stessa analisi evidenzia nel 49% dei casi “La mancanza di fiducia nel sistema di certificazione”.
La produzione biologica, e di riflesso, le produzioni realizzate, hanno evidentemente delle difficoltà che generano questa avversione o scetticismo. Ma dove risiede ?
- Lo standard ?
- I valori ?
- La narrazione ?
- L’identificazione ?
Di certo l’incomprensione è il fattore che genera la diffidenza: “non credo in ciò che non comprendo”. Possiamo partire quindi dall’assunto che la produzione biologica è “non compresa”, quindi genera diffidenza e avversione.
Possiamo fare un ulteriore riflessione
- La narrazione è spesso negativa, cosa non si può fare vs. dove sto andando;
- Il messaggio è spesso tecnico e complesso;
- Il biologico forse monopolizza il vessillo della sostenibilità;
- La narrazione è spesso legata al processo e non alle persone.
Cosa non è compreso ?
E’ un segno che racchiude tanti elementi che vorrebbero contribuire a raggiungere la sostenibilità. L’obiettivo dello schema (sostenibilità) è plurimo: biodiversità, minore inquinamento, fertilità., ecc. non chiarisce. La sostenibilità, a sua volta, è un concetto poco definito e spesso abusato. Un sistema a struttura complessa basato su una molteplicità di requisiti, orientati al raggiungimento di una molteplicità di obiettivi finalizzati al soddisfacimento della Sostenibilità….. la stella polare. E’ difficile dipanare questa matassa e raffigurarla ad un consumatore in toni colloquiali e chiari.
La narrazione è negativa
L’agricoltura biologica appare legata a ciò che non fa (accezione negativa). Il bio non permette di fare certe cose, e la narrazione negativa si ripercuote ed estende (bias) anche sul resto, il biologico non rigenera, non sostiene l’ambiente (usa mezzi che impattano), ecc.
Nell’agricoltura biologica i primi aspetti che si prendono in considerazione sono quelli relativi a ciò che non può essere fatto. E’ un fatto.
Non esiste cioè una narrazione positiva rispetto alle tecniche che possono essere adottate, alternative a quelle ordinarie, ma viene vista come un regime agricolo e di conduzione colturale in cui la componente restrittiva ha un ruolo preponderante.
Non si dice mai che agricoltura biologica significa fare agricoltura, ma è sempre limitare ciò che si fa in agricoltura. Quindi la narrazione negativa si traspone anche in un messaggio negativo, così recepito dai tecnici, che a loro volta lo vivono come una privazione delle possibilità anziché viverla come una prospettiva di opportunità e alternative.
Non ci si concentra sull’obiettivo, l’agricoltura sostenibile, ma ci si concentra sugli strumenti tecnici che non si possono utilizzare in agricoltura. È come se, in ambito medico, non ci si concentrasse sulla salute del paziente, ma sull’impossibilità utilizzare un particolare tipo di bisturi.
A questo si aggiunge che la narrazione negativa pervade tutti gli operatori coinvolti dalla produzione, alla distribuzione, fino ai consumatori. Questi ultimi, scettici, credono che il biologico non esista, che sia un’invenzione, che non sia accertabile, che sia legato esclusivamente al profilo dei residui di prodotti fitosanitari e, che sia solo un prodotto per pochi. E ancora, che la visione sistemica, quella di lungimiranza verso la sostenibilità ambientale, sia solo un artificio comunicativo che non ha nessun legame con il prodotto e di produttori.
Per quanto riguarda il settore della distribuzione si crede invece che il prodotto biologico sia esclusivamente un trend, un articolo di moda, la cui permanenza sul mercato è temporanea. Tale assunto è stato ampiamente sconfessato da oltre trent’anni di presenza e di crescita.
In ultimo, vi sono i produttori che, più scettici degli altri, avversano il metodo dell’agricoltura biologica perché ritengono di essere privati di qualunque possibilità in termini di gestione del contenimento delle avversità, oltre che una di una drastica riduzione in termini di produttività.
Si pone l’attenzione sul fatto che il confinante possa agire negativamente sul prodotto, disconoscendo la gestione del rischio quale presupposto dell’agricoltura biologica in generale, pensando che il controllo venga fatto sommariamente, e che ci possa essere connivenza, anch’essa in termini di sentito dire, tra autorità chiamate alla verifica e attività poste in essere in campo. E’ incredibile che le medesime accuse non vengano mosse verso sistemi di diritto privato, per tutti gli adempimenti richiesti dalle certificazioni cosiddette di parte seconda, del cliente sul fornitore, visto come strumento di “garanzia” verso il consumatore; sia rispetto alle certificazioni di parte terza a carattere volontario. Queste ultime sono il presupposto per l’ingresso all’interno di certi mercati e nessuno ne mette in discussione l’applicazione, il controllo, i risultati.
L’agricoltura biologica che è legata ad un marchio pubblico, i cui adempimenti hanno potenziali conseguenze in termini di ammende pecuniarie e reati, siano invece oggetto di un approccio interlocutorio e vessatorio.
Ma anche le rilevazioni presso i consumatori assumono questi toni. Di seguito l’infografica con le domande dello studio citato in precedenza (1) dove tutte le affermazioni predisposte dall’indagine hanno un’accezione negativa, ad esclusione della prima: l’unica che non cita direttamente il biologico!!!

Figura 1. Esempio di narrazione in “negativo”
Il messaggio è complesso
Uno degli aspetti forse più critici che riguardano il biologico è proprio il termine: biologico. Questo racchiude la sintesi del complesso delle informazioni sottese dallo standard, racchiuse nei comportamenti tecnici degli agricoltori che adottano lo standard e di tutte le realtà che lavorano attivamente lungo la filiera per garantire il mantenimento del requisito. Termine che forse è una delle cause di incomprensibilità.
Nascosti dalla menzione, ovvero al complesso di lettere che abbinate compongono la parola biologico si sottendono numerosi significati. Il termine biologico secondo dizionario afferisce alla biologia ma è in generale abbinato quale aggettivo per qualificare varie discipline in materie di studio che hanno attinenza con la biologia:
- Razza biologica insieme di animali o piante che non differisce dalle affini per caratteri morfologici;
- Relativo alla vita, alle attività vitali e fisiologiche di organismi o popolazioni;
- Relativo all’ambiente in cui si svolge la vita di organismi viventi;
- Che ha a che fare con la vita (ciclo biologico, età biologica, leggi biologiche);
- Agricoltura biologica: metodo di coltivazione caratterizzato dall’impiego esclusivo di concimi organici e di prodotti fitosanitari non sintesi e preparazioni naturali.
È come se il significato attribuito a questo aggettivo avesse a che fare con una vastità di ambiti tale per cui utilizzarlo come qualificante un metodo di coltivazione, ovvero farlo assurgere ad una posizione definitoria, distintiva, ne tradisse la sua natura generalista e il significato.
È come se al concetto più ampio legato alla biologia si volesse limitare l’ambito di qualifica dell’aggettivo ad un aspetto che certamente ha a che fare con la vita, un comportamento relativo a scelte condotte da esseri umani in merito a un metodo di coltivazione, che però vivono una contraddizione in termini, assumendo per il significato di biologico qualcosa che è dissonante rispetto agli altri significati che lo stesso termine assume nelle definizioni d’istinto.
Andando ad approfondire questo ragionamento è come se da un punto di vista semiotico, significante e significato per il termine biologico, così ampio e complesso nei suoi significati, non trovassero alcuna sintesi ovvero si ingenerasse confusione quando l’impiego del termine biologico è associato al metodo dell’agricoltura biologica. Sembra sorgere un’interruzione incidentale dovuta alla distanza che c’è tra il significante del termine biologico nella definizione di agricoltura biologica e significato che esso dovrebbe sottendere, escludendo di fatto un’accettazione culturale di uno dei suoi significati.
Per provare a contestualizzare meglio quanto esposto si può, in punta di piedi e con modestia, avvalersi della teoria di Umberto Eco. Questi, nel quadro della semiotica, affronta il concetto di significato e significante inserendolo in una prospettiva più ampia, vicina alle posizioni di Ferdinand de Saussure ma con importanti sfumature personali.
Il significante è la forma espressiva, cioè ciò che percepiamo fisicamente: il suono di una parola, la grafia di un testo, il segno visivo o gestuale che trasmette qualcosa. È il “veicolo” materiale che permette al significato di manifestarsi.
Esempio: La parola scritta “albero” o il suono pronunciato /ˈalbero/.
Il significato è l’idea mentale, il concetto a cui il significante si riferisce. Eco precisa che il significato non è un oggetto concreto bensì una costruzione mentale e culturale, sempre mediata dal contesto interpretativo.
Esempio: L’immagine mentale o il concetto astratto di “albero”, che include le caratteristiche comuni condivise culturalmente (pianta, foglie, tronco).
La relazione tra significante e significato è convenzionale (arbitraria, stabilita dalla cultura) ma anche dinamica e interpretativa. Non è mai fissa né definitiva, ma dipende dal contesto culturale e dall’interpretazione del lettore o ascoltatore. In altre parole, ogni interpretazione è un atto attivo e creativo del soggetto interpretante.
Il significante non trasmette mai un significato unico e definitivo, ma genera molteplici possibilità interpretative. L’autore propone quindi il concetto di “opera aperta”, secondo cui ogni testo offre uno spazio interpretativo ampio che consente molteplici letture.
Evidentemente nella relazione tra significato e significante rispetto al termine biologico, come legame allo standard di produzione, la mutevolezza influenzata dal contesto e dalla cultura ne hanno determinato una interpretazione negativa associata ad una definizione neutra, i cui obiettivi hanno una prospettiva indubbiamente positiva.
La risposta dei gruppi di interesse “Contro”
Volendo articolare alcune ipotesi sulla posizione di rifiuto delle varie categorie di portatori di interesse si potrebbe riflettere su alcuni sentimenti vissuti dagli interlocutori che non hanno scelto il sistema ma lo sento avverso al proprio vissuto:
- Tecnici. Ci si sente “disarmati” dei mezzi tecnici che si sono spesso studiati e che si sentono come armi sicure nella lotta alle avversità o nella realizzazione di produzioni generose
- Agricoltori. Pervasi forse da un sentimento di esclusione, come “inquinatori” perché non aderenti ad un modello produttivo
- Consumatori. Disorientati di fronte a lotte interne tra gruppi di interesse, messaggi contradditori (il Bio è “buono” ma “il bio non è bio”), comunicazione complessa e narrazione altalenante e incongruente. Il bio non è eccellenza, il bio è eccellenza, il sistema è tra i più controllati in Italia….. ma non è affidabile.
L’incongruenza della narrazione è palese ancor più se le perplessità vengono rappresentate dagli stessi addetti ai lavori: aziende che fanno intendere di essere gli unici “seri”, tecnici che manifestano perplessità sulla possibilità di raggiungere gli obiettivi produttivi, istituzioni orientate alla ricerca del difetto.
Ma non solo, la narrazione spesso è incentrata sui fatti, sul processo, rispetto ai quali si può più facilmente assumere sentimenti negativi, invece che sulle persone che coltivano con metodo biologico, rispetto alle quali un comportamento di avversione e diffidenza farebbe più fatica a prendere corpo. Si è contro il biologico, non contro gli agricoltori.
Le possibili soluzioni per gli addetti
Quando ci chiedono di dire cosa è il biologico… proviamo ad immaginarci di doverlo raccontare ad un bambino di cinque anni.
Sitografia
- https://greenplanet.net/dal-convegno-di-assobio-lavorare-sulla-comunicazione-e-sui-canali-di-acquisto-per-incrementare-i-consumi/
- https://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2021/biologico-simbologia-comunicazione-dal-proponimento-al-disegno/
- https://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2018/non-biologico-dilemma-riflessioni-sul-segno-la-promessa-la-garanzia/
- https://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2018/biologico-alla-ricerca-dei-valori-incompresi/

