La pandemia ha accentuato l’interesse per la scienza ma ha anche aumentato la distanza tra scienza e cittadini
Intervista a Laura De Gara, Università Campus Bio-Medico di Roma
La pandemia ha accentuato l’interesse per la scienza ma ha anche aumentato la distanza tra scienza e cittadini. Un aspetto pericoloso. Ne abbiamo parlato con la professoressa Laura De Gara, preside della Facoltà dipartimentale di Scienze e Tecnologie per l’Uomo e l’Ambiente dell’Università Campus Bio-Medico di Roma.
Secondo lei la pandemia ha consolidato nell’opinione pubblica la percezione dell’importanza della ricerca scientifica oppure ha aumentato la distanza tra scienza e cittadini?
«Per certi versi si sono sviluppati entrambi i fenomeni. Sicuramente le persone hanno riconosciuto il valore della ricerca scientifica come risposta a un’emergenza globale di cui nessuno di noi aveva memoria, come una pandemia di queste dimensioni. Per altri versi, alcuni inciampi dal punto di vista comunicativo da parte di stati, grandi organizzazioni, istituzioni internazionali, un’articolata gamma di posizioni da parte di capi di stato e messaggi spesso contraddittori da parte degli enti di ricerca, di controllo e di garanzia scientifica, soprattutto in tema di vaccini, hanno creato diffidenza da parte dei cittadini su un tema già tradizionalmente divisivo come le vaccinazioni, da tempo oggetto di una azione di disinformazione da parte degli antiscientisti».
Dai vostri dati (iscrizioni, questionari, partecipazione a eventi) i giovani con la pandemia si interessano di più alla scienza e alla ricerca?
«I dati in nostro possesso rivelano un’attenzione sempre crescente nei confronti delle cosiddette stem, ossia dei corsi di studio volti all’approfondimento delle tematiche scientifiche. Il caso dell’Università Campus Bio-Medico di Roma fa un po’ storia a sé perché è nel suo patrimonio genetico, nel suo DNA, il valore di legare e collegare il trasferimento di conoscenze e competenze sul piano scientifico a un percorso formativo nel quale siano inserite anche le cosiddette humanities, vale a dire competenze ed esperienze utili a formare non solo il professionista ma anche la persona inserita all’interno della società. E i dati sulle ammissioni, soprattutto in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana e in Scienze e Tecnonologie Alimentari e Gestione di Filiera – dove offriamo anche insegnamenti in Comunicazione in campo nutrizionale e agroalimentare – ci stanno dando grandi soddisfazioni in termini di preparazione degli studenti che si iscrivono e di richieste da parte di neolaureati da parte delle imprese».
Nel mondo biomedico quali sono le modalità nuove con cui si dovranno affrontare le sfide della ripartenza? Cosa ha insegnato la pandemia?
«La pandemia ha evidenziato il valore di un percorso che era stato già intrapreso in maniera visionaria da parte delle organizzazioni sovranazionali e che oggi più che mai diventa un imperativo: l’impegno, da parte di ogni singola persona e di ogni comunità, anche della comunità globale, verso il raggiungimento dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Le iniziative di sensibilizzazione portate avanti anche da tanti giovani nel mondo oggi sono più che mai di grandissima attualità. Come abitanti della parte ricca e più evoluta dal punto di vista socio-economico e produttivo del Pianeta abbiamo la responsabilità della ridistribuzione delle ricchezze e delle opportunità a livello globale. Il percorso formativo delle ragazze e dei ragazzi dell’Università Campus Bio-Medico di Roma è incentrato anche su un’intensa attività di volontariato, sia all’interno del nostro territorio che a livello globale, con numerose esperienze di cooperazione allo sviluppo per portare quelle che a noi sembrano conoscenze di base in territori dove per esempio l’acqua potabile è una merce rara e dove l’adozione delle più elementari abitudini di prevenzione e di profilassi fa la differenza tra la vita e la morte. Numerose esperienze che abbiamo portato sul campo – penso al Perù e alla Tanzania – hanno aiutato lo sviluppo anche dell’identità e del ruolo delle donne in quelle comunità sostenendone la crescita».
La didattica a distanza è un’evoluzione da applicare anche dopo il Covid oppure, nel vostro campo, si dovrà necessariamente tornare alla didattica e alla comunicazione in presenza?
«Come istituzione sentiamo la responsabilità di lavorare per la costruzione, lo sviluppo e la tutela della classe dirigente del sistema Paese nella dimensione internazionale. Sin dal primo momento di questa pandemia l’Università Campus Bio-Medico di Roma ha attivato tutte le procedure necessarie a garantire la continuità degli studi con il ritorno in presenza degli studenti in piena sicurezza, appena le condizioni lo hanno reso possibile. Questo perché il valore offerto dallo scambio e dalla condivisione del proprio percorso formativo (non solo nozionistico, ma soprattutto di costruzione della persona) per noi è prioritario. Se a questo aggiungiamo anche l’importanza che riveste nella nostra offerta formativa la pressoché quotidiana attività in laboratorio, si capisce bene quanto la formazione a distanza, utile come corollario, certamente non può essere un cardine dell’insegnamento, considerando anche lo sviluppo delle humanitiesche corredano la nostra offerta. Sul piano della formazione post-lauream e della cosiddetta life long learning siamo impegnati – insieme al mondo dell’industria e del sistema produttivo – a rispondere con programmi sempre nuovi alle esigenze che emergono da parte soprattutto delle imprese. Facciamo un esempio: è stato il mondo produttivo a evidenziare con estrema rilevanza l’assenza sul mercato di figure professionali in grado di gestire con una visione manageriale e con competenze appropriate il percorso delle filiere alimentari che, ricordo, rappresentano una delle direttrici di maggiore sviluppo e di maggiore potenzialità del made in Italy e quindi anche funzionali alla ripresa post-Covid. Le risposte che sono nate all’interno del nostro Ateneo sono una laurea magistrale capace di colmare questo vuoto e un percorso accademico studiato per consentire a un laureato in Scienze dell’alimentazione e nutrizione umana di corredare il proprio curriculum potendo accedere ai titoli per diventare tecnologo alimentare».
Come dovrà cambiare il modo di comunicare la ricerca verso i cittadini/consumatori?
«Il requisito fondamentale per comunicare la ricerca in maniera efficace ai cittadini e ai consumatori è: semplicità e coerenza. Coerenza significa adesione a rigore scientifico e incontrovertibilità del dato. È molto rischioso confondere le opinioni dei ricercatori con quelli che sono invece i fatti. Questo fa la differenza tra una comunicazione corretta e la manifestazione di idee che – seppur rispettabili – rischiano di creare disorientamento e conseguenze molto rilevanti sul piano delle scelte delle persone. Lo abbiamo visto in maniera drammatica in questa circostanza di pandemia, in cui sappiamo bene che le ricadute ci sono state anche in termini di scelte alimentari, per fare un esempio».
Secondo lei come ne sta uscendo l’immagine della ricerca italiana?
«La ricerca italiana in tema di pandemia ha offerto significativi esempi di buone pratiche. Ricordo che è stata italiana, e peraltro condotta proprio all’Università Campus Bio-Medico di Roma, la prima attività di ricerca sulla individuazione delle varianti del Covid-19. All’Università Campus Bio-Medico di Roma è stata sviluppata anche la ricerca applicata all’utilizzo della diagnostica per immagini che, con l’Intelligenza Artificiale, facilita l’individuazione precoce del Covid-19 grazie all’utilizzo delle TAC e delle risorse offerte dalla telemedicina. Per quanto attiene i temi dell’alimentazione e della nutrizione stiamo facendo significativi approfondimenti anche sul legame tra la pandemia e le conseguenze in termini sia di produzione che di consumo. Usciremo da questa pandemia forse con qualche chilo in più come popolazione, ma sicuramente con una maggiore consapevolezza, dal punto di vista scientifico, di quello che è il valore di una ricerca applicata ai benefici legati a un approccio One Health, che significa lavorare per la salute delle persone, delle comunità e dei territori».
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