Presentazione – AGRFOR
La rigenerazione del suolo è anche rigenerazione dell’Uomo e della Società. Senza questa rigenerazione, è difficile pensare a uno sviluppo sostenibile, che richiede la gestione corretta di tutte le risorse primarie (acqua, suolo, risorse vegetali e animali). In questo campo l’Occidente ha un debito immenso nei confronti dell’Africa e – per la riparazione del debito – un ruolo importante spetta anche a un’ industria rinnovata, amica della Natura e della Civiltà.
Presentazione dell’ AGRFOR
L’Agrfor (Agronomi e Forestali senza frontiere) è un’Associazione professionale senza fini di lucro che si affianca ad associazioni analoghe sorte negli ultimi anni nel mondo occidentale. Essa è nata da un gruppo di agronomi italiani, africani e di altre nazionalità, fortemente interessati ai problemi dello Sviluppo, con particolare riguardo a quelli dell’Africa sub-sahariana.
I membri dell’Agrfor (agronomi, forestali e professionisti in altre discipline) sono esperti indipendenti che hanno maturato una lunga esperienza di lavoro sul terreno nel campo dello sviluppo agricolo e rurale, nelle regioni aride e semi-aride del pianeta, con particolare riguardo al Sahel.
In tale quadro – di forti esigenze e criticità – essi si sono confrontati con largo anticipo a problemi ambientali e socio-culturali destinati ad acquisire nel tempo una crescente importanza nel dibattito sullo sviluppo. Tali problemi riguardano la gestione integrata delle risorse umane e di quelle naturali (primarie e rinnovabili), la lotta contro la desertificazione, la fame, la povertà e la messa in opera di un eco-sviluppo partecipativo e sostenibile.
In Africa : due filosofie a confronto
Nel campo dello sviluppo agricolo e rurale e della cooperazione con i Paesi africani si sono confrontate fin dall’ inizio due scuole di pensiero, una di tipo tecnocratico-ingegneristico e l’altra di tipo umanistico, agronomico e biologico-naturalistico.
Gli esperti dell’Agrfor, per lo più agronomi, hanno sempre sostenuto l’importanza e la priorità delle discipline legate alla terra ed al suolo, intesi come fondamento principale dell’agricoltura, dello sviluppo e della stessa civiltà. Contrariamente a queste opzioni – certamente più affidabili e sicure – il ruolo di queste discipline è stato marginalizzato e penalizzato da potenti “lobbies dello sviluppo”, politicamente più forti, ma prive della preparazione e della sensibilità necessarie a promuovere uno sviluppo agricolo e rurale e a riconoscere la fragilità delle basi su cui riposa la nostra civiltà.
Malgrado le esperienze negative del passato – che risalgono già al periodo coloniale (vedi perimetri irrigui come l’Office du Niger e molti altri esempi del genere) – le opzioni tecnocratiche, basate sull’ ingegneria agraria, sulle grandi opere di irrigazione e sulla green revolution, ma prive di un preciso rapporto con le realtà del terreno e delle popolazioni interessate, hanno prevalso ancora una volta su quelle agronomiche, basate su quelle realtà (oltreché sul processo archetipico e storico-antropologico dello sviluppo) e finalizzate alla conservazione del suolo e delle acque, alla corretta gestione delle risorse, all’equilibrio degli eco-sistemi e della struttura sociale.
A questo peccato originale della Cooperazione allo sviluppo, che ha assicurato una rendita di posizione ad interessi corporativi, ma inadatti a risolvere i problemi dei paesi interessati, non è stato ancora posto un rimedio sufficiente, con i risultati negativi che si possono oggi constatare.
L’esperienza del passato e le prospettive del futuro
Il tempo degli “Apprendisti stregoni dello Sviluppo” (1) volge comunque al termine. Esso ha prodotto un modello di sviluppo distruttivo, basato su una insufficiente valorizzazione delle risorse umane e su un consumo incontrollato delle risorse naturali. Le obiezioni più serie e lungimiranti sono state messe rapidamente a tacere, e le opzioni tecnocratiche – perseguite come le sole possibili – si sono rivelate non solo economicamente errate, ma politicamente e socialmente disastrose. Oltre alla corruzione delle classi dirigenti, in Africa esse hanno prodotto una grave dipendenza dei paesi assistiti, specie nel settore agro-alimentare, e una serie di conseguenze negative che vanno dall’abbandono dell’agricoltura tradizionale e familiare alla destabilizzazione socio-culturale (distruzione delle risorse primarie, disgregazione sociale, urbanizzazione, povertà, boom demografico, fame, malattie ed emigrazione incontrollata).
A partire da un certo momento questa “anomalia selvaggia” – figlia di una cultura univoca e male interpretata (in realtà una vera e propria anticultura) ha fatto credere all’Uomo di essersi ormai affrancato da ogni condizionamento naturale e di poter quindi manipolare la natura a suo piacimento.
Il vecchio peccato della superbia ha fatto dimenticare ogni ragionevole prudenza (nonché l’esistenza di un Ente superiore) e considerare importanti solo i prodotti dell’ ingegno umano – ossia la tecnologia – considerata più come un fine che come un mezzo di sviluppo (2). Anche per questo motivo le tematiche ambientali e socio-culturali sono state disattese e sottovalutate da molti addetti alla cooperazione allo sviluppo.
Senza una cultura umanistica – la sola veramente degna di questo nome – la barbarie è sempre dietro l’angolo, e non bastano le giornate della memoria ad evitare nuove tragedie, che possono essere anche più gravi che nel passato. Per superare le tragedie in corso e scongiurare quelle future, una cultura etico-umanistica, consapevole del fatto che lo sviluppo è fatto per l’Uomo, e non per un “progresso” disumano e antivitale, dovrebbe sovrintendere alle grandi scelte dello sviluppo.
Non si tratta di mettere sotto accusa la tecnologia, che rimane un fattore essenziale di sviluppo, ma di stigmatizzare l’uso distorto che ne viene fatto – per sete di guadagno e/o di potere a breve termine – e di comprendere a fondo il pensiero di William Vogt, che già negli anni ’50 dello scorso secolo osservava come “nell’uso corretto della tecnologia vi è un immenso potenziale di liberazione per l’Uomo; nel suo uso scorretto (o non appropriato) vi è invece una immensa capacità di asservimento, degrado e distruzione ambientale e socio-culturale”.
Con una tecnologia intelligente ed equilibrata – misurata sull’Uomo e sulla Natura – si ottiene invece il massimo risultato col minimo sforzo, che è il vero segreto dello sviluppo, basato in primo luogo sulla valorizzazione delle risorse umane.
Data l’importanza della posta in gioco e la relativa semplicità dei problemi da risolvere, adottando le giuste soluzioni, è chiaro ormai che molte delle opzioni perseguite finora sono – specie nel mondo rurale – incompatibili con il contesto ambientale e socio-culturale dei paesi in via di sviluppo (PVS). Invece che ricercare soluzioni tecnologiche “avanzate”, ma di dubbia efficacia ed utilità ed eticamente discutibili (per non parlare dei rischi sempre possibili), occorre quindi affrontare e risolvere quei problemi, dalla gestione delle risorse alle fonti energetiche e ai cambiamenti climatici con quelle soluzioni super-collaudate – suggerite dalla natura e dalla storia – che sono più adatte al contesto di riferimento, tanto più che esistono schiere di volontari che non chiedono altro che di svolgere un lavoro utile e gratificante. Infine, è la natura stessa che ci richiama alla realtà e all’umiltà, ad abbandonare pericolose e false suggestioni e a tornare coi piedi per terra, perché a questa Terra siamo comunque legati.
E non è senza significato il fatto che sia soprattutto dalla Terra – intesa sia come pianeta che come suolo agricolo – che possiamo e dobbiamo ripartire per ritrovare la fiducia necessaria e andare incontro al futuro.
Un futuro e uno sviluppo pacifici e creativi
Avendo fatto il loro tempo, il fondamentalismo tecnocratico e il relativismo etico – strettamente collegati fra loro – hanno ormai il valore di una merce svalutata o di una moneta fuori corso. Cambia in parallelo il corso della storia, dell’economia e della società. Dobbiamo quindi capire – quanto prima, tanto meglio – che lo sviluppo tecnico e socio-economico non può prescindere da un equilibrato progresso sul piano culturale, etico e spirituale, perché l’Universo, la Natura e l’Uomo sono – come lo sviluppo e come la vita stessa – realtà complesse e pluri-dimensionali, il cui significato dobbiamo imparare a conoscere, a seguire e a perseguire.
Ricordando le parole di Paolo VI nell’ Enciclica “Populorum progressio”, secondo cui “lo Sviluppo è il nuovo nome della Pace”, ci sembra ormai necessario riconoscere che “la Pace è il nuovo nome dello Sviluppo”.
Si tratta però di un nuovo tipo di pace, sia fra gli uomini che con la natura, e di un nuovo tipo di sviluppo – creativo e non distruttivo – di un “Rinascimento culturale” indispensabile (3) e aperto a tutti, nel nome di una comune umanità, che troverà comunque una fiera opposizione da parte di quanti – avendo fondato le loro scelte su basi ingannevoli ed illusorie, sono più portati a dividere e a distruggere che ad unire e a costruire.
Partendo da basi ben più solide e sicure, sia ideali che di attaccamento al reale, l’Agrfor intende dare il suo contributo a uno sviluppo reale, armonico e creativo – valido sia per i primi che per gli ultimi – centrando la sua attenzione su una vera “Cultura dello Sviluppo”, nonché sullo sviluppo agricolo e rurale del continente africano e su quello umano dei suoi abitanti.
(1) Definizione di Serge Michailof : “Les apprentis sorciers du développement” – Mythes technocratiques face à la pauvreté rurale – Ed. Economica (Paris, 1987), con prefazione di Edgar Pisani
(2) L’immagine di Achille e della tartaruga illustra bene il rapporto fra la “scienza specialistica” (o di laboratorio) e i processi vitali, come il degrado dei suoli agrari. Per quanto rapidi siano i progressi di questa scienza, il degrado dei suoli non fa che vanificarli, aggravando la situazione di partenza e la qualità organolettica dei prodotti alimentari. Questo perché molti fenomeni vitali – a differenza di quelli puramente fisici – sono talmente complessi da sfuggire in gran parte all’indagine scientifica (di laboratorio). Essi possono quindi essere meglio affrontati e risolti con un’ approccio pragmatico e sperimentale.
(3) La “scoperta” dell’ecologia – madre di tutte le scienze – conduce inevitabilmente a una rivoluzione etica e culturale ed alla riscoperta di Dio, Creatore e Legislatore della Natura.