Riforma agraria: lotte sociali, competenze e politica

Riforma agraria: lotte sociali, competenze e politica

L’ipotesi interpretativa che intendo esporre con tutte le incertezze del caso – e che solo a seguito di ulteriori ricerche potrebbe diventare meno insicura (la storia, come tutte le scienze, non fornisce mai interpretazioni definitive!) – si può così sintetizzare: la Riforma agraria, realizzata in Italia negli anni Cinquanta, costituisce un elemento fondante della modernizzazione del Paese e non già un episodio marginale; essa si colloca intenzionalmente, insieme alle opere infrastrutturali realizzate con l’intervento straordinario nel Mezzogiorno, in una visione dello sviluppo inteso come sviluppo non limitato alla sola dimensione economica, autopropulsivo e autoctono, cioè fondato sulla migliore combinazione dei fattori produttivi presenti in un determinato territorio e capace di tener conto dei condizionamenti sociali, politici e istituzionali; questa visione viene infranta dalla scelta politica di puntare ad una industrializzazione forzata dall’alto (inquadrata in un’idea di sviluppo del tutto opposta a quella precedente); un’opzione politica che determina di fatto la marginalizzazione dell’agricoltura nell’opinione pubblica e nell’azione di governo e, in particolare, la rottura della tradizionale osmosi tra competenze tecnico-scientifiche e saperi esperienziali degli agricoltori; rottura che si inserisce tra le cause della successiva crisi ecologica che ancora oggi viviamo.

Se questa interpretazione di una fase cruciale della vita sociale, economica, politica e istituzionale del Paese – che segnò il passaggio dell’Italia da Paese prevalentemente agricolo a Paese prevalentemente industriale – fosse convalidata da ulteriori ricerche, avremmo più argomenti per affrontare i problemi dell’oggi. Soprattutto nel tentativo di ripensare l’idea stessa di sviluppo e di innovazionesegue la relazione completa

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Autore : Alfonso Pascale, presidente Ceslam (Centro sviluppo locale in ambiti metropolitani)

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