Potenzialità dei droni

Da circa vent’anni, sebbene tra svariate difficoltà tecniche ed economiche, anche in Italia si sta assistendo a una lenta e progressiva diffusione delle tecnologie informatiche in agricoltura che, a vari livelli, cercano di attuare obiettivi di qualità gestionale. Si tratta di metodiche in gran parte di derivazione statunitense che propongono processi, tecnologie e approcci operativi che rientrano nell’ambito dell’agricoltura di precisione (Ap). Quest’ultima definizione, nonostante possa sembrare la diretta traslazione del termine inglese “precision agriculture” si riferisce, invece, alla traduzione italiana di diversi termini anglosassoni quali:

•    precision farming systems;
•    prescription farming;
•    target farming;
•    site specific farm management.
L’ultima definizione è quella che maggiormente collima con l’idea di “precisione” insita nella traduzione italiana. Questa, infatti, pone l’accento sulle capacità di gestire in modo automatico porzioni di terreno su scala “sub-appezzamento” (secondo logiche sito-specifiche) attraverso un’opportuna integrazione tra tecnologie informatiche e pratiche agronomiche. Tuttavia focalizzare l’attenzione solamente sugli aspetti dell’automazione del controllo operativo offre un’immagine troppo restrittiva dell’intero contesto. Questo comporta il rischio di indirizzare le modalità di trasferimento tecnologico dell’Ap verso approcci a utilità limitata, troppo distanti da quell’insieme di benefici integrati che le stesse tecnologie Ap dovrebbero garantire sul fronte della qualità gestionale. Infatti, vi sono dei settori produttivi – per esempio quello viticolo – in cui l’importanza dell’automazione di alcuni processi di campo è vista con priorità secondaria rispetto alla necessità di disporre in tempi rapidi di adeguate informazioni relative agli stadi fenologici e/o agli stati fitosanitari delle coltivazioni per pianificare interventi correttivi sulla conduzione dei vigneti. In altre parole: la capacità di reperire e utilizzare informazioni a fini gestionali diventa un obiettivo primario per i responsabili della conduzione aziendale.
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Con l’intento di integrare i concetti di “management” aziendale e di automazione dei processi, l’agricoltura di precisione è stata quindi definita come una strategia gestionale che utilizza tecnologie informatiche per raccogliere dati da fonti multiple in vista di un loro successivo utilizzo nell’ambito di decisioni riguardanti le attività produttive di campo.
Questo concetto è di fondamentale importanza poiché associa la qualità gestionale alla capacità di prendere opportune decisioni in base a informazioni mirate, previamente raccolte attraverso un’attività di monitoraggio globale dei processi produttivi.
Il monitoraggio è l’osservazione in continuo o a intervalli determinati di un dato fenomeno. In campo agricolo, questo riguarda la raccolta di dati inerenti i processi produttivi messi in atto dalle aziende. A livello aziendale si distinguono le tre tipologie di monitoraggio, ossia un monitoraggio ambientale, uno operativo e uno colturale. In particolare, il monitoraggio ambientale si occupa del rilievo di parametri fisici, chimici, pedologici e climatici legati all’ambiente in cui avviene l’attività produttiva (temperatura, umidità, radiazione solare, tessitura del terreno, pH del suolo, contenuto di nutrienti del suolo, ecc.); il monitoraggio operativo verte sulla raccolta dei principali dati riguardanti lo svolgimento di attività produttive aziendali (organizzazione aziendale, metodi di lavoro, svolgimento delle attività di campo, controllo del consumo dei fattori produttivi, dosi e/o volumi, tempi di lavoro, ecc.); il monitoraggio colturale si basa su osservazioni svolte direttamente sulle colture in atto ai fini di ricavare dati su stadi fenologici, stato nutrizionale, stato fitosanitario, attese produttive, mappe di produzione, ecc. In ogni caso, qualsiasi sia il tipo di monitoraggio, condizione indispensabile è che questo sia automatizzato data la notevole mole di dati da raccogliere, formattare, elaborare in informazioni e, successivamente, archiviare.
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Per quanto concerne il monitoraggio colturale, i sistemi sin qui proposti fanno riferimento essenzialmente alle tecnologie remote sensing basate sul telerilevamento (Tlr). Questi sistemi si basano sulla possibilità di ottenere immagini multispettrali e iperspettrali delle colture attraverso l’impiego di sensori ottici satellitari o aerotrasportati. Questo significa che le immagini acquisite sono esplorate in numerose bande spettrali, ciascuna caratterizzata da una diversa capacità di riflettere la radiazione incidente da parte dei corpi. Nel caso di immagini multispettrali, quindi, è possibile ricavare indici vegetativi sintetici legati al vigore della coltura mentre, utilizzando immagini iperspettrali, è possibile ottenere informazioni a maggiore grado di dettaglio (potenzialmente sino al riconoscimento del tipo di stress presente). Nonostante le sue indubbie qualità, il Tlr presenta alcuni problemi di ordine tecnico, economico e organizzativo che ne limitano l’utilizzo nel contesto agricolo italiano, caratterizzato dall’elevata frammentazione degli appezzamenti: il Tlr, infatti, tende a offrire un’inadeguata risoluzione spaziale, ossia l’impossibilità di restituire informazioni a livello della singola pianta e una bassa risoluzione temporale. Quest’ultima dipende dall’intervallo di tempo che intercorre tra due passaggi successivi del satellite su una stessa area, o dalla frequenza dei voli aerei. Quindi, soprattutto nel Tlr satellitare, accade che le immagini ottenute non coincidano con le fasi fenologiche di interesse o, addirittura, che la loro acquisizione sia compromessa da condizioni meteorologiche sfavorevoli (copertura nuvolosa). Infine, un ultimo aspetto – peraltro molto rilevante nel settore agricolo – è dato dalla difficoltà di elaborazione delle immagini multispettrali e iperspettrali per la carenza di idonei sistemi informativi.
I problemi per l’impiego del Tlr per il monitoraggio nel contesto agricolo nazionale ha portato negli ultimi anni alla sperimentazione e alla diffusione di sistemi ground sensing. Questi permettono il rilievo da terra delle proprietà ottiche delle colture sia mediante postazioni a punto fisso posizionate in zone particolarmente rappresentative dell’appezzamento (in particolare nei vigneti), sia attraverso sistemi mobili montati direttamente su trattore (o su veicoli dedicati). In quest’ultimo caso i mezzi devono anche essere dotati di ricevitore Dgps al fine di collegare i dati rilevati con la loro posizione all’interno dell’appezzamento.
I rilievi “a punto fisso” si caratterizzano per un’elevata sensibilità delle misure e una bassa rappresentatività spaziale. I “rilievi mobili”, al contrario, hanno una bassa sensibilità, e un’elevata rappresentatività spaziale, poiché consentono di monitorare l’intera superficie dell’appezzamento. Questi ultimi possono essere effettuati in concomitanza alle normali operazioni meccanizzate di campo, così da interferire il meno possibile con il normale regime aziendale.
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Le tecnologie impiegabili in rilievi ground sensing implementano sensori ottici (multispettrali e iperspettrali) e sensori analogici (per esempio sensori a ultrasuoni e laser scanner). In entrambi i casi, il vantaggio risiede nell’opportunità di ottenere un elevato dettaglio spaziale delle informazioni, unito alla massima tempestività dato che i rilievi possono essere concentrati nelle fasi fenologiche più delicate. Inoltre, queste tecnologie:
•    consentono misure non distruttive, che possono essere ripetute a scala di singola pianta e in momenti successivi della stagione vegetativa;
•    non richiedono contatto con la coltura;
•    si basano su fenomeni istantanei, permettendo misure rapide e idonee a essere effettuate anche da veicoli in movimento.
Un’ulteriore tecnica per effettuare il monitoraggio colturale è quella che si basa sulla realizzazione delle mappe di produzione. Da anni sono in commercio pacchetti hardware e software commerciali con cui equipaggiare le macchine da raccolta. In questo modo, previe opportune elaborazioni, è possibile creare mappe di prescrizione su cui basare, l’anno successivo, le varie operazioni colturali (per esempio concimazioni). Quindi l’obiettivo che si pone questo tipo di approccio è quello di risolvere i problemi che – potenzialmente – si potrebbero verificare nell’anno in corso, a partire da dati raccolti l’anno precedente. Questo, ovviamente, non considera una delle necessità primarie del monitoraggio, ossia la tempestività.
In ogni caso, a prescindere dal mezzo utilizzato per effettuare il monitoraggio, solo un’accurata identificazione dello stress consente di realizzare un’accurata mappa di prescrizione e questo, idealmente, è ottenibile solo monitorando l’intera coltura alla scala di dettaglio della singola foglia. Con le attuali tecnologie è praticamente impossibile.
Una soluzione interessante, che può unire la tempestività e la flessibilità di intervento con un’adeguata risoluzione spaziale è l’utilizzo di droni in attività di monitoraggio colturale.
Dal punto di vista tecnologico, i cosiddetti “droni” o “Uas” (Unmanned aerial systems) sono, in prima analisi, classificati in base al carico che sono in grado di trasportare e alla quota raggiungibile (EuroAvs). I dispositivi che possono essere destinati all’impiego nel contesto agricolo sono definiti Micro/MiniUas con carico compreso tra 0,1 e 30 kg e quota massima 300 m. Per questa categoria di droni, la durata delle batterie è, di norma, inferiore all’ora. Dal punto di vista operativo, i vantaggi sono considerevoli e sono riassumibili in:
•    flessibilità d’impiego in base alle necessità;
•    tempestività e velocità d’intervento;
•    elevata risoluzione spaziale (in un’immagine ad alta risoluzione, ottenuta con il drone a 60 m di altezza, si possono raggiungere i 2 cm tra centro e centro di due pixel adiacenti);
•    disponibilità di camere multi e iperspettrali e di altri sensori tipo laser scanner, camere termiche, camere Rgb;
•    nel caso di droni muniti di rotori possibilità di decollo e di atterraggio verticale;
•    costi contenuti rispetto ai classici sistemi Tlr.
Per contro, trattandosi comunque di sistemi di monitoraggio di tipo remote sensing, seppure “ravvicinato”, i problemi riguardano la necessità di:
•    investire in sensori di alta qualità e di massa ridotta (con conseguente incremento dei costi);
•    correggere le immagini tenendo conto che la riflettanza della coltura, comunque, risente della luminosità della giornata nonché dell’orario in cui si effettua il rilievo;
•    correggere eventuali distorsioni nell’immagine digitale mediante complessi trattamenti in post processing, comprensivi di tecniche di mosaicatura per unire e ortorettificare correttamente tutte le immagini raccolte dal drone in un’unica mappa georeferenziata, poiché, essendo il drone un veicolo leggero, è influenzabile da fattori esterni (correnti d’aria in quota).
In sostanza, come accennato, il drone consente di operare con successo soprattutto in attività di monitoraggio colturale (per la stima di nutrienti, acqua, vigore vegetativo, stress), di gestione di appezzamenti, di mandrie, di colture, fino ad arrivare ad alcune attività di controllo operativo. Per esempio, una volta ottenuta la mappatura di una particolare malattia presente in campo, è possibile procedere con micro interventi di spraying mirati sulla pianta infetta oppure, come già avviene con successo in Pianura Padana, sganciare col drone ovuli contenenti uova di Tricogramma maidis, parassita oofago della piralide.
In questo contesto tecnologico decisamente interessante e con enormi potenzialità d’applicazione, occorre anche segnalare i punti a oggi ancora critici:
•    dal punto di vista hardware, il fattore limitante è la durata delle batterie (in alcuni casi non si superano i 15-20 minuti di autonomia);
•    non si hanno ancora dati riguardo la vita utile dei droni né la loro robustezza nei confronti degli eventi atmosferici;
•    è indispensabile garantire la più totale affidabilità nella registrazione dei dati e nel loro eventuale trasferimento a terra in tempo reale;
•    occorre considerare le ripercussioni che le normative dell’Ente nazionale per l’aviazione civile avranno sull’applicazione dei droni in agricoltura.
L’uso dei droni può davvero favorire la definitiva affermazione delle tecniche di agricoltura di precisione in Italia, purché siano risolti alcuni problemi ancora aperti: in primo luogo non c’è ancora disponibilità sul mercato di pacchetti software completi per la gestione e l’elaborazione dei dati al fine di ottenere mappe di prescrizione. In secondo luogo, i ricercatori devono procedere con la messa a punto di tecniche iperspettrali per identificare al meglio i vari stress che interessano le colture, superando gli indici vegetativi che, nella maggioranza dei casi, forniscono informazioni troppo generiche. Infine, per fornire agli imprenditori agricoli un servizio di qualità, è fortemente auspicabile l’interazione tra le diverse figure professionali coinvolte, principalmente rappresentate dai dottori agronomi e i dottori forestali. Sono questi, infatti, gli unici in grado di interpretare correttamente le immagini digitali (anche con l’aiuto di attività di scouting in campo) e di prescrivere la “ricetta” ottimale per ottenere colture produttive, di qualità e sostenibili dal punto di vista economico e ambientale.

Autore : Aldo Calcante dottore agronomo, ricercatore di Meccanica agraria presso il Dipartimento di Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell'Università degli studi di Milano

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