Next generation EU: ripensiamo alla nostra Agricoltura

Next generation EU: ripensiamo alla nostra Agricoltura

La pandemia ha avuto e continuerà ad avere, per il suo interminabile protrarsi, un impatto economico e sociale devastante, riflettendosi sugli equilibri strategici e di sicurezza globali. Deve, però, essere chiaramente percepito che l’effetto di tale impatto è asimmetrico tra i Paesi ed all’interno di ciascun Paese. Oltretutto questa crisi sopraggiunge appesantendo vulnerabilità precedenti: il post-pandemia metterà interamente a nudo i differenziali competitivi all’interno ed all’esterno della UE ed ogni indebitamento potrà essere accettato dai mercati solo nella positività di un radicale riassetto del Sistema Paese. In più, quale sarà la politica finanziaria UE, componente essenziale di una integrazione europea che costituisce fattore indispensabile per evitare l’implosione delle aree più deboli?

L’obiettivo, decisamente dichiarato della UE, non è solo il superamento della crisi sanitaria ma, anticipando i tempi, anche quello di stemperare le condizioni che da troppo tempo rallentano la crescita. Si mira a preparare il futuro per la prossima generazione, all’insegna della solidarietà, della coesione e della convergenza. Punto qualificante è una Europa verde, con un taglio delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030, per arrivare ad una Europa climaticamente neutra nel 2050. Il Green Deal europeo deve riportare l’impegno di non nuocere all’ambiente, sbloccando investimenti nelle tecnologie pulite ed assicurando, nel più rigido rispetto del principio comunitario di precauzione, la protezione della salute dei consumatori europei da ogni rischio esistente o emergente associato alla catena alimentare. Si chiede con forza la diminuzione della dipendenza dalle sostanze chimiche di sintesi, pesticidi e fertilizzanti chimici ed un aumento dei controlli e del monitoraggio dell’efficienza ambientale degli interventi finanziati: un obiettivo particolarmente impegnativo per il nostro Paese.

Al riguardo, non si può non rilevare come l’accordo recentemente raggiunto dal Consiglio Agricolo sulla Politica Agricola Comunitaria – annunciato come primo ed incisivo passo di un percorso ispirato alla sfida dei cambiamenti climatici e della sostenibilità – pur riconoscendo agli Stati Membri un’ampia autonomia gestionale, con conseguente maggiore responsabilità attuativa, si è in sostanza limitato ad una riserva finanziaria a favore delle produzioni ecologiche; una decisione, oltretutto, in controtendenza rispetto agli impegni internazionali della UE. Il conseguente forte rallentamento di un iter verso un risanamento ambientale ostacola una gradualità negli interventi, essenziale per attenuare la dirompenza di una transizione agri-ecologica verso un futuro sempre più vicino.

Sia la Francia che la Germania, oltretutto avvantaggiati da un ridotto indebitamento, hanno già individuato le proprie linee di intervento. Si punta sui consumi e sugli investimenti, anche attraverso una riduzione delle imposte, a supporto delle imprese e delle famiglie. Una revisione economica, sociale ed ecologica che guarda al futuro anche sul piano di un percorso di decarbonizzazione delle industrie e, con specifico riferimento al settore agroalimentare, tende ad accelerare la transizione agri-ecologica per adattare l’Agricoltura ai cambiamenti climatici.

Se un raffronto tra i diversi Piani di Rilancio nella UE non può che essere rinviato ad un approfondito esame dei contenuti, si può comunque dire che gli obiettivi comuni dichiarati si inseriscono in un quadro di piena compatibilità con gli indirizzi europei: un forte sostegno al tessuto economico e produttivo attraverso investimenti sulle infrastrutture, la digitalizzazione, la rivoluzione verde, la ricerca anche finalizzata a nuove fonti di energia, quali l’idrogeno, l’inclusività.

L’Italia appare in netto ritardo nella concreta definizione delle proprie linee di intervento. Sussiste, infatti, il forte timore che l’instabilità politica possa spingere al consueto “assalto alla diligenza” per accaparrarsi risorse e, di conseguenza, voti. Oltretutto, non si può non tenere conto della ridottissima capacità amministrativa nell’utilizzo delle risorse e dell’incertezza dei sistemi attuativi. Sarebbero pregiudizievoli soluzioni di corto respiro che non tengano conto di incombenti fattori di perturbazione esterni: una visione provinciale, autoreferenziata che persiste nell’individuare ogni salvaguardia nei tradizionali interventi finalizzati a compensare evidenti differenziali produttivi, piuttosto che avviare idonei percorsi di recupero competitivo. A questi fini, sarà indispensabile selezionare progetti che siano associati ad un significativo impatto sulla crescita del PIL potenziale, canalizzando le risorse disponibili a sostegno dei comparti più strategici del Sistema Paese.

Il commercio mondiale costituisce un motore di crescita fondamentale che, però, da tempo risulta sempre più condizionato da profondi e pressoché insanabili squilibri. In effetti, il vecchio continente risulta essere l’area più aperta in un mondo in persistente guerra commerciale.

L’UE è uno dei principali attori sui mercati internazionali, con un surplus commerciale che nel 2019 si è attestato intorno al 10,4%. Un dato statistico, però, di ampia relatività: la rilevazione ad valorem premia i flussi in esportazione, in massima parte costituiti da prodotti trasformati ad alto valore aggiunto, rispetto a quelli in importazione, prevalentemente materie prime a prezzo ridotto. L’Italia contribuisce a tale saldo positivo UE subito dopo la Germania. L’acquisizione dei dati relativi al 2020 consentirà di valutare l’impatto della pandemia. Si prevede un forte peggioramento nel 2020.

Anche il bilancio comunitario agroalimentare per il 2019 è risultato a saldo positivo, sia pure con un surplus inferiore attestato al 6.5%. Il deficit agricolo del 57,3% viene, infatti, compensato dal surplus commerciale del 63,20% dell’industria agroalimentare. Trattasi naturalmente di medie che richiedono un’analisi più dettagliata, almeno con riferimento a Paesi quali la Francia, la Germania, l’Italia (Paesi con deficit agroalimentare) e la Spagna (in surplus). L’esportazione extra UE dei prodotti ottenuti dalla trasformazione delle materie prime agricole di tali Paesi rappresenta circa il 50% del totale UE…

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Immagine per articolo Lodovico Fiano

Autore : Lodovico Fiano

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