Lo sviluppo sostenibile e la componente istituzionale

Sommario

La sostenibilità va considerata nelle sue quattro componenti: ambientale, economica, sociale, istituzionale. La prima deve assicurare, nel tempo, qualità e riproducibilità delle risorse naturali, l’integrità dell’ecosistema e la diversità biologica; quella economica deve generare, in modo duraturo, reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione e l’eco-efficienza economica, mentre quella sociale è intesa come capacità di garantire condizioni di benessere umano e accesso alle opportunità (sicurezza, salute, istruzione, socialità). La componente istituzionale, infine, consiste nella capacità di assicurare condizioni di stabilità, democrazia, partecipazione, informazione, formazione, giustizia. Richiede, necessariamente, di gestire le Istituzioni e sviluppare le necessarie forme di coordinamento e cooperazione inter-istituzionale, di costruire programmi condivisi, impegni vincolanti e tempi certi di attuazione, nel rispetto del principio di sussidiarietà. In carenza di sostenibilità istituzionale, la governance dei pilastri dello sviluppo sostenibile non può essere assicurata. Più in generale tale componente va riferita alla capacità dei politici di “governare la Governance”, per cui molte criticità italiane e – in particolare politica, giustizia, evasione fiscale, pubblica amministrazione, ricerca, e altre ancora – sono legate, spesso, a carenze istituzionali. Il fenomeno – NIMBY “Not In My Back Yard” – prevale, tra l’altro, per la scarsa efficienza delle Istituzioni.

Relazione

Nel caso del dissesto idrogeologico si prende come riferimento il lavoro  Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio – 2015 dell’ISPRA, Trigila A., Iadanza C., Bussettini M., Lastoria B., Barbano A. (2015) Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio. Rapporto 2015. ISPRA, Rapporti 233/2015. Un lavoro recente, completo, che già mostra il contributo della componente istituzionale alla sostenibilità. Esso considera

  • la conformazione geologica, geomorfologica e idrografica, naturalmente predisposta ai fenomeni di dissesto
  • l’intensa urbanizzazione avvenuta nel secondo dopoguerra senza tenere in debito conto le aree del Paese in cui avrebbero potuto manifestarsi eventi idrogeologici ed idraulici pericolosi e potenzialmente dannosi,
  • l’abbandono dei territori montani che ha determinato una mancata manutenzione e ancor più, in generale, un venir meno del ruolo attivo delle popolazioni a presidio tanto del territorio quanto dell’ambiente naturale,
  • gli effetti dell’evoluzione climatica.

La conoscenza dei fenomeni di dissesto, in termini di distribuzione territoriale e di pericolosità, è fondamentale per programmare adeguate politiche di mitigazione del rischio. L’ISPRA ha raccolto e armonizzato  i dati sulla pericolosità da frana dei Piani di Assetto Idrogeologico e sulla pericolosità idraulica ai sensi del D.Lgs. 49/2010; e partecipa alla “Cabina di regia” della Struttura di Missione contro il dissesto idrogeologico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, fornendo supporto scientifico e tecnico, mediante la produzione di cartografie tematiche e indicatori di rischio, nonché la condivisione di dati e servizi interoperabili anche per la piattaforma Italia Sicura.

Il Rapporto citato fornisce un quadro di riferimento aggiornato sulle pericolosità da frana, idraulica ed erosione costiera per l’intero territorio italiano; e presenta, inoltre, “indicatori nazionali di rischio per frane e alluvioni, relativi a popolazione, imprese, beni culturali e superfici artificiali, che costituiscono un importante base informativa per la programmazione degli interventi – strutturali e non – di mitigazione del rischio e delle politiche di coesione nel Paese”.  In esso si evidenzia “l’importanza di mantenere strettamente collegata la mappatura della pericolosità e del rischio, con quella relativa agli interventi destinati al loro contenimento e mitigazione, in esecuzione o già programmati, e ciò anche al fine di valutarne la disponibilità e quindi l’efficacia nel tempo”. A tal fine, si segnala la piattaforma ReNDiS e quella  Italia Sicura. Il Rapporto, come scrive il Presidente dell’ISPRA, Prof. Bernardo De Bernardinis,  “rappresenta un efficace strumento di comunicazione e contribuisce alla diffusione delle informazioni sulla pericolosità e sul rischio idrogeologico e idraulico in Italia, certamente a supporto delle Autorità ambientali ed a quelle di protezione civile, ma anche delle stesse popolazioni esposte”.

Si riportano i dati più significativi riassunti da L’Astrolabio http://www.fidaf.it/index.php/i-numeri-del-pericolo-del-dissesto-idrogeologico/. In Italia, oltre sette milioni di persone abitano in aree a rischio di frane e alluvioni. Oltre un milione vive in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata, mentre quasi sei milioni si trovano in zone alluvionabili a pericolosità idraulica media. Campania, Toscana, Liguria ed Emilia-Romagna sono le regioni con i valori più alti di popolazione a elevato rischio frana, mentre i numeri più rilevanti di popolazione a rischio alluvione, nello scenario di pericolosità idraulica media, si riscontrano in Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Lombardia e Liguria.

Esaminando la situazione a livello comunale, sono 7.145 (l’88,3%) i comuni a rischio frane e/o alluvioni: di questi, 1.640 hanno nel loro territorio solo aree ad elevata propensione a fenomeni franosi, 1.607 sono quelli a pericolosità idraulica, mentre in 3.898 coesistono entrambi i fenomeni. Sette regioni hanno il 100% dei comuni a rischio idrogeologico: Valle D’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Molise e Basilicata. Ad esse si aggiungono Calabria, Provincia di Trento, Abruzzo, Piemonte, Sicilia, Campania e Puglia, con una percentuale di comuni interessati maggiore del 90%.

Considerando le industrie e i servizi, sono circa 80.000 (1,7%) le unità locali di imprese che si trovano in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata, per un totale di oltre 200.000 addetti a rischio. Le regioni più esposte sono Campania, Toscana, Emilia-Romagna e Piemonte. Nel pericolo inondazione, sono esposte invece, nello scenario medio, 576.535 unità, per un totale di oltre due milioni di addetti. In Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Liguria e Lombardia si registra il numero più elevato di imprese soggette al fenomeno idraulico.

Relativamente ai beni culturali architettonici, monumentali e archeologici, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono 34.651 (18,1% del patrimonio totale), dei quali oltre 10.000 rientrano in aree a pericolosità elevata e molto elevata. Nello scenario di pericolosità media delle alluvioni ricadono circa 29.000 monumenti, mentre oltre 40.000 sono i beni culturali a rischio nello scenario relativo a eventi estremi (meno probabili, ma più intensi). Le regioni con il numero a più alto rischio nello scenario medio, sono Emilia-Romagna, Veneto, Liguria e Toscana. Tra i comuni, spiccano Venezia, Ferrara, Firenze, Ravenna e Pisa.

Sul piano istituzionale si deve considerare: “Ad eccezione del Regio Decreto n. 3267 del 30 dicembre 1923, focalizzato sul vincolo idrogeologico, la gestione dei boschi e la sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani, l’Italia ha scontato fino al 1989 un forte ritardo nella promulgazione di norme che imponessero di considerare i fenomeni di origine naturale, quali frane e alluvioni, nella pianificazione territoriale e urbanistica. La Legge n. 183 del 18 maggio 1989, ispirata ai principi della Commissione De Marchi, è infatti la prima norma organica per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo che individua il bacino idrografico come base territoriale di riferimento per la protezione idrogeologica e le Autorità di bacino quali istituzioni responsabili della predisposizione del Piano di Bacino. Quest’ultimo è uno strumento fondamentale per la pianificazione territoriale e per la programmazione di opere di sistemazione ed è sovraordinato agli altri piani di livello regionale, provinciale e locale. Tuttavia fino all’evento catastrofico di Sarno del 5 maggio 1998, la Legge 183/89 non ha avuto piena attuazione, con pochi Piani stralcio adottati. Con l’emanazione del Decreto Legge n. 180 dell’11 giugno 1998, convertito nella L. 267/1998, viene impressa un’accelerazione all’individuazione, perimetrazione e classificazione delle aree a pericolosità e rischio idrogeologico per frane e alluvioni, all’adozione dei Piani stralcio di bacino per l’Assetto Idrogeologico (PAI) e delle misure di salvaguardia con vincoli e regolamentazioni d’uso del territorio. La legge 183/89 è stata successivamente abrogata e in parte integrata nel D.Lgs. 152/2006. I PAI sono strumenti dinamici che negli anni sono stati oggetto di integrazioni e modifiche da parte delle Autorità di Bacino, a seguito di nuovi studi e indagini, nuovi eventi idrogeologici, al completamento di interventi strutturali di mitigazione del rischio o su richiesta degli Enti locali. Per quanto riguarda le alluvioni, la Direttiva 2007/60/CE, recepita in Italia con il D.Lgs. 49 del 23 febbraio 2010, ha definito nuove regole comuni in tutta Europa per la valutazione e la gestione del rischio di alluvioni, introducendo tre scenari di pericolosità idraulica e di rischio e i Piani di Gestione del Rischio Alluvioni. Al fine di ottenere un quadro complessivo e aggiornato sulla pericolosità del territorio nazionale, l’ISPRA nel 2015 ha realizzato le mosaicature delle aree a pericolosità da frana dei PAI e delle aree a pericolosità idraulica ai sensi del D.Lgs. 49/2010 perimetrate dalle Autorità di Bacino, Regioni e Province Autonome sul proprio territorio di competenza. Per la mosaicatura frane è stata necessaria un’operazione di armonizzazione delle legende dei diversi Piani di Assetto Idrogeologico, mentre per la pericolosità idraulica sono stati utilizzati i tre scenari definiti dalla norma. Le mosaicature sono state quindi utilizzate insieme ai dati geospaziali relativi agli elementi esposti per la produzione di indicatori di rischio sull’intero territorio nazionale. Gli indicatori, relativi a popolazione, imprese, beni culturali e superfici artificiali esposti a rischio frane e alluvioni, sono stati restituiti su 4 livelli di aggregazione territoriale: nazionale, regionale, provinciale e comunale. Il capitolo 1 del Rapporto è focalizzato sulla pericolosità da frana; il capitolo 2 descrive l’attuazione della Direttiva Alluvioni, gli scenari di pericolosità idraulica e di rischio e i Piani di Gestione del Rischio Alluvioni. Il capitolo 3 fornisce un quadro sinottico per le aree a maggiore pericolosità, in termini di numero di comuni e di superfici. Il capitolo 4 presenta i dati relativi all’erosione costiera; il capitolo 5 contiene gli indicatori di rischio per frane e alluvioni”.

In questo contesto la FIDAF ha manifestato la propria preoccupazione per la Riforma del Corpo Forestale dello Stato, che potrebbe far mancare al Paese l’attività e l’esperienza degli uomini del Corpo medesimo per la difesa idrogeologica, per la prevenzione dell’erosione superficiale del suolo, per la gestione sostenibile del patrimonio forestale che si estende, ormai, su oltre il 30% del territorio italiano, come risulta dall’ultimo Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi forestali di Carbonio, condotto dal CFS nel 2005.  La FIDAF è intervenuta anche con numerosi articoli sulla propria Rivista on line Agriculture http://www.fidaf.it/index.php/newsletter-numero-08-ottobre-2015/.. http://www.fidaf.it/?s=ervedo+giordano&x=0&y=0#http://www.fidaf.it/index.php/la-difesa-del-suolo-oggi-problemi-e-prospettive/. con Convegni http://www.fidaf.it/index.php/venerdi-culturale-19-02-2016-la-difesa-del-suolo-oggi-problemi-e-prospettive/. ed ha voluto richiamare l’attenzione del Governo sul futuro assetto del Corpo Forestale dello Stato  http://www.fidaf.it/index.php/lettera-al-ministro-madia_-corpo-forestale-dello-stato-cfs/.

Premesso che l’azione di rinnovamento della Pubblica Amministrazione, volta a recuperare i valori fondanti come la trasparenza, la responsabilità, il merito, in una ritrovata motivazione di orgoglio per il ruolo di servizio verso le Istituzioni, i cittadini e le imprese, trova il convinto apprezzamento della FIDAF che ha, tra le sue positive peculiarità quella della copresenza di chi opera nelle strutture pubbliche – (dall’Amministrazione ai vari livelli della sua articolazione, all’Università agli Enti di Ricerca) e di professionisti impegnati in strutture produttive (sia imprenditoriali – di tipo associativo o singole imprese) o nel mondo della consulenza e assistenza in varie forme – abbiamo purtroppo motivo di ritenere che l’aggregazione all’Arma dei Carabinieri, sia una scelta che riteniamo non corrisponda alla esigenza di non disperdere la specificità del CFS, determinante per la tutela del territorio collinare e montano, e non solo di quello forestale. Ricordiamo due aree tematiche  che da oltre un secolo hanno contraddistinto un ordinato sistema di interventi affidati al  Corpo Forestale dello Stato. La prima relativa alla difesa del territorio in termini di stabilità dei terreni, buon regime delle acque e conseguente vincolo idrogeologico. La seconda riguardante vari fattori dell’economia montana, nella convinzione che il miglioramento dell’intera economia nazionale sia condizionato dallo sviluppo della vivibilità nei territori collinari e montani, che rappresentano circa il 50% della superficie nazionale. E’ evidente il legame fra i due aspetti, alla luce dell’impatto che la gestione delle zone montane e collinari ha anche sull’assetto idrogeologico a valle. A parere della FIDAF appare ancora opportuna una più profonda riflessione sul riordinamento del CFS per riportarlo agli originari compiti istituzionali di “Corpo tecnico” ad ordinamento civile, con responsabilità di polizia forestale.

 E’ evidente che la collocazione del “Corpo Forestale” appare più appropriata nel contesto del Ministero dell’Ambiente del Territorio e del Mare o del MIPAAF, rispetto all’inserimento nell’ambito di altri Dicasteri che hanno compiti primari per la Difesa del Paese e per il contrasto al crimine a livello nazionale ed internazionale. Né va dimenticato che attualmente la responsabilità operativa affidata al Corpo richiede una specifica professionalità riguardante il concetto di “prossimità”, intesa come vicinanza alle popolazioni montane ed alle istituzioni locali, nell’ambito del presidio del territorio. Questa caratteristica, che è tipica a livello europeo – è ben noto infatti che Francia, Germania, Spagna e Portogallo hanno Organizzazioni simili al CFS – si è concretizzata nel nostro Paese, con l’ideazione e la realizzazione del Sistema Informativo della Montagna (SIM) : un modello di interscambio  che eroga servizi integrati ai cittadini, mediante  la messa a  disposizione  di  informazioni presenti nelle banche centrali  in più Amministrazioni (CFS, Agea, Agenzie del territorio, ecc.) per gestire provvedimenti amministrativi  tra loro correlati.

 Va ricordato, infine, che si è svolto a Roma presso la CCIAA, il 4 Aprile scorso, un interessante convegno promosso da Federlegno Arredo e dalla Fondazione Symbola, dal titolo “Il Made in Italy abita il Futuro – Il Legno Arredo verso l’economia circolare”. A conclusione del Convegno, l’On. Bonafè ha sottolineato che la Circular Economy “non è un’ opzione, ma una scelta obbligata, l’unica che abbiamo davanti, ed è probabile che diventi operativa già dalla fine del 2017”. Se questa previsione troverà conferma, appare urgente rivolgere un pressante invito al Governo affinchè eviti la dispersione della professionalità del Corpo Forestale dello Stato, tra Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, Guardia costiera, in seguito all’annunciata riforma della Pubblica Amministrazione, ma si provveda invece alla sua riorganizzazione, come richiesto da Federlegno Arredo, da molte Associazioni Ambientaliste e da numerose Regioni http://www.fidaf.it/index.php/una-efficace-accostata-del-consiglio-deuropa-verso-leconomia-circolare/. Lo Stato è uno dei protagonisti dei radicali cambiamenti dell’economia circolare e non può privarsi di una organizzazione, come il CFS, che è chiamato ad operare a sostegno delle filiere del  legno, che stanno affrontando mutamenti climatici, tecnologici e normativi epocali. In questo caso e in tutte le questioni relative allo sviluppo sostenibile, compreso il grande tema del dissesto idrogeologico, la componente istituzionale deve gestire ordinariamente le Istituzioni e sviluppare le necessarie forme di coordinamento e cooperazione inter-istituzionale, costruire programmi condivisi, impegni vincolanti e tempi certi di attuazione, nel rispetto del principio di sussidiarietà.,

In conclusione, la governance dei pilastri dello sviluppo sostenibile non può essere assicurata in carenza di sostenibilità istituzionale. Più in generale la componente istituzionale va riferita alla capacità dei politici di “governare la Governance”, per cui molte criticità italiane, quali politica, giustizia, evasione fiscale, pubblica amministrazione, ricerca, e altre ancora, sono legate, spesso, a carenze istituzionali. Come giustamente affermato, tutti dobbiamo concorrere a fare l’Italia.

Fondazione ICEF (International Court of the Environment Foundation)

“Clima, biodiversità, territorio italiano” Sabato 23 aprile, Abbazia di Montecassino

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Monte Cassino, William Turner
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Autore : Luigi Rossi, Presidente FIDAF

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