CRA/INEA, una occasione mancata dal MIPAAF?

Considerata la situazione di stallo in cui si trova da tempo la ricerca scientifica agraria italiana, c’è da chiedersi se c’è la consapevolezza che “La ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica rappresentano il motore dello sviluppo per i prossimi anni”. Questa affermazione, da anni, è diventata il motivo di fondo di qualsiasi dichiarazione inerente alle prospettive di crescita e di sviluppo di sistemi sociali ed economici. Tale consapevolezza è anche del Ministro Maurizio Martina?

 La ricerca agraria è frammentata in tante strutture che dipendono da ben cinque Ministeri, da Regioni e fino a poco fa, da Province. Causa la scarsa organizzazione (strutturale e funzionale) delle Istituzioni italiane, il nostro Paese, nel settore della Ricerca, riporta a casa solo una parte modesta della sua contribuzione all’UE, modestissima nel caso di quella agraria. Sarebbe sufficiente per  l’Italia collocarsi  nella media europea per disporre in più di finanziamenti europei per centinaia di milioni di euro/anno. In realtà, invece, facciamo felici gli altri Stati membri più organizzati che, disponendo anche dei “nostri” finanziamenti, sviluppano le loro ricerche nei loro Istituti, spesso con giovani e bravi ricercatori italiani costretti ad emigrare. Di fatto, per la disorganizzazione istituzionale imperante, i ricercatori italiani che presentano Progetti di Ricerca in Europa, hanno, statisticamente, la metà delle probabilità di successo rispetto ai colleghi di Gran Bretagna, Germania, Francia, Olanda e Belgio.

L’Unione Europea, promuove con lo SCAR, le Piattaforme Tecnologiche, le JPI (Joint Programme Initiative), i Partenariati Europei, ecc., uno spazio di quella ricerca agricola forte, che preveda  una integrazione tra prodotti alimentari, agricoltura, selvicoltura, gestione del territorio, salute, aspetti rurali, sociali, ecologici e politici, nonché l’energia. L’Italia, nonostante l’impegno dei singoli, appare ancora piuttosto assente e ininfluente.

Con tutti i suoi limiti, l’UE sollecita gli Stati membri a una programmazione congiunta, a una radicale modernizzazione delle strutture di Ricerca ed enumera i cambiamenti necessari  nelle Università e negli Enti di Ricerca.  In Italia invece, ogni Ente di ricerca continua le ristrutturazioni proprie, autonome, fuori dalle indicazioni dell’UE e, in carenza di una reale Politica Nazionale della Ricerca, procede spesso con una logica divenuta quasi obbligata, sia pure assai miope: quella della riduzione delle spese nel breve termine.

Tali ristrutturazioni, accorpamenti o razionalizzazioni come vengono chiamate, che siano del CRA, del CNR, dell’ENEA, delle Università, sono state accomunate dagli stessi criteri:

  • considerare la realtà all’interno della propria struttura, e, in qualche modo, salvaguardarla;
  • evitare il confronto con le altre Istituzioni di Ricerca, conseguendo duplicazioni e mancata integrazione delle attività;
  • incapacità di realizzare  le condizioni strutturali per essere competitivi in sede Europea, coordinare grandi Progetti internazionali, acquisire le Risorse, promuovere le sinergie programmatiche ed operative così necessarie  nella realtà italiana ed europea.

 Il Ministro Maurizio Martina avvii dunque, rapidamente e concretamente, una reale profonda riforma strutturale. La Ricerca agraria finalizzata allo sviluppo e all’innovazione, avvalendosi delle nuove tecnologie abilitanti, deve considerare la produzione primaria e la filiera alimentare in stretta connessione con il territorio, la salute e l’energia.

Europa

Autore : Luigi Rossi e Alessandro Bozzini

6 pensieri su “CRA/INEA, una occasione mancata dal MIPAAF?

  1. Avete colpito nel segno. Mi avete fatto capire in poche righe perché i miei colleghi del CRA non vogliono essere accorpati al CNR: ci fa comodo salvaguardare la nostra struttura (comprese le poltrone che ci dirigono e ci proteggono); siamo terrorizzati dal confronto con le altre Istituzioni di Ricerca: sappiamo che al CNR sono molto più bravi di noi, e non ci importa se produciamo duplicazioni e mancata integrazione delle attività, basta che ci diano lo stipendio alla fine del mese.

  2. Mi piace l’articolo di Bozzini e Rossi, chiaro, coraggioso, costruttivo e capace di andare al cuore dei problemi dell sistema della ricerca e della conoscenza in agricoltura in Italia.
    Per riportare il nostro Paese al posto che esso merita c’è bisogno di un cambio di passo, di un radicale cambiamento.
    Tutti si devono mettere in gioco, anziché difendere i privilegi e rimanere avvinghiati a posti di lavori spesso inutili e improduttivi.

    Ermanno Comegna

  3. Mi chiedo se gli autori di questo articolo, che non conosco, sappiano di cosa parlano.
    Sono ricercatore all’INEA da oltre 25 anni e ho seguito la vita dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria da 30 anni. Ho vissuto la crescita di questo istituto e del suo prestigio internazionale, grazie proprio ai continui contatti e collaborazioni con la Commissione Europea, l’OCSE, la FAO e altri istituti di ricerca europei, con i quali abbiamo vinto importanti bandi sui programmi quadro dell’UE, realizzando ricerche pubblicate su riviste internazionali e su testi diffusi dalla stessa Commissione Europea.
    Recentemente, da quando Horizon 2020 è operante, abbiamo vinto due bandi per progetti di 2,5 milioni € ciascuno. E stiamo partecipando ad altri bandi in scadenza a breve.
    A seconda del periodo di riferimento, il bilancio dell’INEA è coperto per il 60-70% (ad essere cauti) da progetti vinti sul mercato, come qualsiasi istituto europeo. E faccio notare che i ricercatori dell’Istituto sono dipendenti pubblici e non privati. Quindi si guadagnano il proprio stipendio preparando e gestendo progetti di eccellenza.
    Quindi di cosa parliamo? Parliamo di un modo di fare giornalismo che è approssimativo e superficiale, come gran parte dei media fanno in questo paese, giusto per guadagnarsi un po’ di spazio denigrando la gente che lavora seriamente.
    Che poi ci sia un problema di coordinamento nel mondo della ricerca, come in tante altre parti del pubblico impiego, è alquanto noto e risaputo. Ma non è buttando la responsabilità sull’arroccamento della ricerca che si chiariscono i termini della questione. Il vero nodo è quale visione politica di lungo periodo sulla ricerca ha questo paese?

  4. Non mi sembra che l’articolo di Rossi e Bozzini metta in dubbio la professionalità dei ricercatori dell’INEA, né che contesti l’eccellenza di molte delle sue attività. Non è questo il punto. La ricerca agricola italiana, frammentata in diverse entità e non coordinata, riesce produrre nuove conoscenze e promuovere innovazione in maniera inferiore a alle sue potenzialità. Le risorse investite in ricerca nel nostro Paese non sono moltissime, sarebbe senz’altro opportuno alzare il livello, ma intanto una razionalizzazione del sistema porterebbe sicuramente importanti miglioramenti dell’impatto socio-economico generato. E migliorerebbe anche la competitività per il conseguimento di fondi europei.

  5. Negli ultimi decenni le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione nel sistema agro-industriale hanno subito grandi cambiamenti e sviluppi. Il documento

    http://utagri.enea.it/sites/default/files/i_programmi_europei_per_la_ricerca_abbadessa_rossi.pdf

    descrive tale ricerca nel corso dei Programmi Quadro di ricerca della Comunità Europea, la cui evoluzione è stata influenzata da vari fattori tra cui l’innovazione delle tecnologie, i nuovi approcci alla politica della ricerca e innovazione, la domanda dei consumatori, le grandi questioni globali quali il cambiamento climatico, la crescita della popolazione e la produzione di energia, e la complessità e il dinamismo del settore.
    Il documento esamina le principali sfide che la ricerca europea collaborativa agro-industriale deve affrontare e fornisce alcune scenari di riorganizzazione della “governance” delle conoscenze e delle infrastrutture scientifiche a livello europeo. Inoltre, vengono forniti esempi di iniziative comunitarie atte a rafforzare il coordinamento e la cooperazione tra paesi, nonché a sviluppare una visione condivisa e a lungo termine sulle priorità della ricerca. Il documento, sebbene non esaustivo, auspica di essere disponibile a tutte le parti interessate per la loro opinione e input.

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